martedì 13 dicembre 2011

Ali in gabbia, occhi selvaggi - Capitolo 7

-Sette-

Lei coi capelli di sole sommersi

Io in mezzo ai mari che corsi
Lei sotto i suoi cieli inversi
(Due Universi, Claudio Baglioni)

Sparta, 16 Settembre 2011

Si svegliò presto, quel 16 Settembre, George.
Il suo ultimo giorno di sospensione gli si era bruciato tra le mani, e c'era ancora da cercare i libri sotto il letto, lasciar l'Iliade sul comodino, seppur con una fitta al cuore, e togliere quella benedetta scodella di yogurt greco dal casco del motorino.
Si svegliò ch'era ancora notte, per la verità.
Sbuffando si alzò, s'infilò la camicia al contrario sul pigiama e gli occhiali da sole -effetto della disastrosa miopia notturna, o follia relativamente momentanea-, finì lo yogurt greco, inciampò nell'Iliade, dopodiché uscì.
Appena uscito raggiunse, decisamente più pimpante, il motorino,e prima di salirvi riuscì a farselo cadere su un piede per ben due volte, poi si accorse d'aver lasciato le chiavi sotto il cuscino e sospirò, scrollando le spalle.
Dopo uno sbadiglio e l'essersi, chissà come, infilato il casco in un occhio, decise d'avviarsi dai Dounas a piedi.
Non era esattamente uno di quegli orari in cui ci si poteva presentare sotto casa altrui senza essere ghigliottinato, ma George nutriva discrete speranze nella famiglia in questione.

Theodorakis non era stato sospeso -non ancora, perlomeno, e rischiando la settima bocciatura gli conveniva poco-, ma giusto per non farlo andare da solo a Micene, magari col rischio di sbriciolarsi in moto contro la tomba d'Atreo, aveva rinunciato all'interrogazione di filosofia.
A Micene non c'era mai molto da fare: solo polvere, rovine, storia e leggenda.
S'era conservata meglio di Sparta, la città d'Agamennone, questo aveva dovuto riconoscerlo a malincuore, Gee.
Di Sparta, ormai, eran rimaste solo le cicatrici.
A lui non importava, non per davvero: negli occhi George aveva la città ch'era stata, anche quando metteva gli occhiali.
A Brian George, il ragazzino Iliade - dipendente, poteva anche non credere nessuno, ma lui credeva in quello che voleva.
Credeva in Sparta, credeva in Natal'ja.
Credeva nel suo motorino, maledettamente, anche quando lasciava le chiavi sotto il cuscino e doveva rubar la bicicletta a Tìa.
Credeva anche in lei, tanto.
A Theodorakis, che davvero non poteva lasciarlo in banco da solo, l'anno seguente.
Anche a costo di farsi biondo e offrirsi in filosofia al posto suo, o di tradurgli Tucidide per tutta la notte, Dounas doveva passare l'anno.

-Theo! Tìa!-
Brian George sorrise, ravviandosi i capelli.
I suoi amici non avevano ancora dato segno di vita, ma presto gli avrebbero risposto.
-Tìa! Theo!-
-Disgraziato!-
-Delinquente!-
Il sorriso scomparve.
Il ragazzo fece tre passi indietro, non si poteva mai sapere.
Era notte fonda, era Sparta.
Era il grande Geórgos Zemekis, lui, ma nel buio avrebbero potuto scambiarlo per un pivello qualsiasi, e i compari di suo nonno non erano esattamente dei bravi ragazzi, specialmente a quell'ora.
-Per Zeus, chi grida a quest'ora?-
Certo, George se ne rendeva conto: non era esattamente nelle condizioni di poter avanzare, neanche soltanto formulare, una lamentela del genere, ma del resto era lui.
Gli altri, in genere, avevano due opzioni: o si rassegnavano, o gli tiravano qualcosa in testa.
I Dounas, altrettanto in genere, per quanto bene volessero all'originale nipote di Leonida, avevano una particolare predilizione per la seconda.
-Tìa, io glieli lancio! Glieli lancio, punto!-
-Papà, no! Voglio dire, è sia un disgraziato che un delinquente, Gee... Ma gli stivali di mamma no, che ha appena sostituito i tacchi!-
George perse circa due dita di colore e quasi tutta la baldanza, alla vista di Meletis Dounas, biondissimo e trentasettenne padre di famiglia, uno dei più inneggiati e temuti eroi della banda.
-Mel, mi serve tua figlia... Non è che ti disturbo, vero?-
Meletis Dounas, in quel preciso momento, considerò tre elementi.
- Mel. Manco si fosse chiamato Melanie. Lui!
- Mi serve tua figlia. Mi serve un aspirapolvere l'avrebbe detto con la medesima intonazione?
- Non è che ti disturbo, vero? Disturbo. Alle tre di notte. Faceva sul serio?
-Geórgos!- ringhiò, senza cessar di sventolare gli stivali di Eiréne in direzione del giovane idiota.
Poi, improvvisamente, si calmò.
Parve riflettere su qualcosa che lo turbava particolarmente, dopodiché si guardò intorno, circospetto.
Sorrise.
-Geórgos, senti. Io te la posso anche mandare, mia figlia -Theo no, ti spennerebbe più di quanto non farei io in questo momento-, ma tu... Ce l'hai, una sigaretta per Mel, vero?-
George non aveva mai amato gli sbalzi d'umore di Meletis Dounas come in quel momento.
Però... Però...
-Ehi, Gee! Dai, ce le hai, le sigarette, no?-
Stavolta era stata Tìa a parlare, speranzosa.
Brian George Gibson non usciva mai di casa senza sigarette.
Mai.
Poteva dimenticarsi pure le scarpe, ma le sigarette no.
E allora... Allora...
-Uhm... Beh. Sigarette. Direi. Dovrei. Spererei. Ma se le avrei...-
-Gee, il congiuntivo! Al'ja ti sparerebbe, hai presente?-
-Oh, non sarebbe mica l'unica. Cioè, le avrei finite, le sigarette, io-
Dimokratìa sgranò gli occhi.
Meletis lasciò cadere gli stivali della moglie dalla finestra.
Come Eiréne non si fosse ancora svegliata, poi, non era ben chiaro a nessuno di loro.
Ma non se lo chiedevano, in quel momento.
George era il più sconvolto di tutti, forse.
-Mi... Mi dispiace! Io... Negozi aperti, ora...?-
-Te lo auguro, Geórgos!-

-Gee, non lo prendiamo, il motorino?-
-E no, Tìa, no che non lo prendiamo. Ho lasciato le chiavi sotto il cuscino, sai com'è...-
Sbarrò gli occhi, la ragazzina.
-Che, ti servono le chiavi? A te? Veramente?-
-Purtroppo sì, sciocchina-
Dimokratìa gli mollò un leggero scappellotto, guardandolo male.
-Sciocchina lo dirai alla tua cocorita, eh!-
-Eh, vedremo. Vedremo se avrò mai una cocorita, voglio dire. Tu come la chiameresti?-
Ma me lo sta chiedendo davvero?
La piccola Dounas avrebbe avuto un bell'inquietarsi, quella notte.
-Natal'ja- affermò, sorridendo.
-Natal'ja- ripeté lui, sognante.
-E' un bel nome, però. Voglio dire, anche se non ci fosse lei. Anche se noi, io non l'avessi mai conosciuta-
Gli tremava la voce, quasi, nel dar vita ad elucubrazioni notturne ancor più surreali del solito.
-Gee, se non ci fosse lei, se noi, tu non l'avessi mai conosciuta... Saresti ancora ad Atene, al Nuovo Museo dell'Acropoli, nella macchina per la restaurazione delle Cariatidi. Che poi, Dio... Come diamine t'è venuto in mente di entrarci? Cioè, già mi chiedo perché nessuno, eccetto la sottoscritta, abbia avuto il buonsenso di fermarti, però... I tuoi neuroncini ibernati si dovranno anche riprendere, prima o poi-
-Appunto. Ma volevo vedere come funzionava...da vicino-
-Signore, c'era il video! Ci sei pure andato a sbattere, se ricordi-
-Eh, ma era bello... Bello tanto. Secondo te, se Al'ja si pettinasse come una Cariatide...-
-George!-
Rideva, Dimokratìa.
Che caso disperato, e che bel caso disperato era, quel suo George!
-Ró̱ti̱sa t’astéria ti tha gínei me mas...- s'era messo a cantarellare nel frattempo, saltando sulla bicicletta di Tìa.
-Sakis?- gli domandò lei, riconoscendo le parole di Emena Thes, di Sakis Rouvas.
Lui inarcò un sopracciglio, annuendo.
-Ovviamente-
-Sai, a proposito di Rouvas... Mia zoí mazí, hai presente? E' la vostra canzone, tua e di Al'ja. Davvero!-
-La vita insieme- mormorò lui, pensieroso.
-Che bello, però...-
-Tanto tanto, Gee. Diglielo, prima o poi. Diglielo, che la vuoi sposare, che non te ne frega niente, dei suoi undici anni e dei tuoi quindici anni, degli scalmanati ungheresi, di...tante cose. Tu vivi per lei!-
-Beh. Sì, diciamo di sì. Teoricamente sì. Ma io...-
-Tu taci, adesso. Non è vero, Gee?-
Il ragazzo annuì, con un mezzo sorriso.
-Sì. Meglio così-

E adesso erano lì, in riva all'Eurota.
Tìa s'era addormentata, George guardava il fiume e non capiva, ma era bella, tanto, l'atmosfera che c'era lì.
Sfiorò con un dito i capelli della bambina, pensieroso.
Poi la strattonò un poco per una manica, illuminandosi improvvisamente.
-Tìa?-
Lei aprì gli occhi, infastidita.
-Cretino?-
-Ci verresti, in Russia con me?-

venerdì 2 dicembre 2011

Ali in gabbia, occhi selvaggi - Capitolo 6

-Sei-

Krasnojarsk, 15 Settembre 2011

Anche tu,
Anche tu
Appartieni al mondo intero e non a me
M'ero illusa che tu fossi mio per sempre, ma
Non lo sei,
Non lo sei
(Che male fa la gelosia, Nada)

Sorrideva, Natal'ja.
-Che ti prende?- le aveva chiesto Jànos poco prima, ma gliel'aveva chiesto con la speranza negli occhi, perché tutt'un tratto s'era illuminato di nuovo, il visino della sua piccola amica.
-Niente, è che...-
L'Ungherese le afferrò entrambe le mani, guardandola severamente negli occhi.
-Non lasciargliela vinta neanche un momento-
-Oh, piantala, con quel tuo Vecchioni!-
-Non è la stessa cosa che Gee ha detto a Tìa sul marciapiede di Penny Lane, mentre aspettavamo che qualche martire prendesse su tutta la comitiva?-
-Svyatoe Nebo, Jàn! Sposatelo e lasciami i Beatles, va-
La guardò un po' storto, Jànos Desztor, prima di tirarla per la manica, con un mezzo sorriso.
-Va meglio, vero? Insomma, anche se gliel'hai lasciata vinta-
Poi scosse la testa, correggendosi.
-Più che altro gli hai lasciato la vita, tu-
Recuperò la chitarra che aveva lasciato sul divano, pizzicandone qualche corda e guardando Al'ja con la coda dell'occhio.
-Everything little thing she does, she does for Gee, yeah-
-Jàn...-
-Era già tutto previsto, anche l'uomo che sceglievi, e il sorriso che gli fai mentre ti sta portando via...-
-Jànos!-
-George, nel tuo ricordo pensa che la tua Natal'ja è accanto a te... Oh, George! Lei che rideva e ora non più, ma la sua vita ce l'hai tu... Oh, George! Oh, se tu le portassi via qualche altro neurone ti spaccherei il faccino... Oh, George!-
-Jànos Desztor!-
-E nei sogni di Natal'ja Brian George l'aveva sposata, e chi non ci credeva era un pirata...-
-Oh, Jàn!-
-Tu lo seguisti senza una ragione, come un ragazzo segue l'aquilone...-
-Taci, cavalletta-
-Furono e baci e furono sorrisi, poi furono soltanto i fiordalisi...-
-Disintegrati! Che poi fa relativamente paura, la tua conoscenza della musica italiana-
-E' musica, no? Io sono Jànos Desztor-
Natal'ja annuì, seria seria.
-Piacere...-
Il chitarrista ungherese ridacchiò, scostando la sua mano.
-Pensa al tuo fidanzato, piuttosto! Quando, nella penombra della sera liverpooliana, mi si è affiancato dicendo: "Prendi questa mano, zingara!", davvero non ho saputo cosa rispondergli-
-Oh, accidenti!-
Jànos sorrise, approfittando della sorpresa della ragazzina per sussurrarle all'orecchio la sua ultima "creazione".
-Questa è la tua canzone, Al'ja mia bella, che hai perso la ragione assai in fretta...-
-Tu cosa gli hai risposto?- volle sapere Al'ja, fingendo d'ignorare l'ennesima pseudo - citazione.
-"Oh, lo vedo sì, l'oro dei capelli suoi, e se sapessi quanto ricambia ti spaventeresti, ma per favore, potresti andare a dirlo a lei?"-
-Mitico- fu l'unico commento della biondina, che scosse la testa, arrossendo un poco.
-Ma dici davvero? E Georgino voleva proprio sapere...-
-Morandi no di certo, con rispetto, Al. But when I see you darling, it's like we both are falling in love again...-
-Ma...-
-Woman, please let me explain, I never mean to cause you sorrow or pain...-
-Lennon ti viene bene, sai, Jàn?-
Jànos inarcò un sopracciglio, a metà tra il compiaciuto e il divertito.
-Mi devi aiutare a stendere la scaletta del concerto, tu-
-Stendere la scaletta? Oh, caspita, suonate sul tetto come gli scarafaggi scousers?-
-No, Al...- sospirò il ragazzo, seppur ridendo sotto i baffi.
-E cosa mi dedichi, eh?-
-"George!", mormora la bambina. "Perché la tua piccolina tradisci ogni santo giorno? George, come gli opliti a Sparta son le ragazze per te!" Esile agonizza la bambina; or il brigante non è più infedele: corre a intrecciar promesse e carezze sui capelli suoi. "Gee!" mormora la bambina. Vuole sfiorar la sua mano. Ma il capo già reclina e già socchiude gli occhi. Piange, il ragazzo, pentito, stringendola al cuor. Ma benedetto angelo greco, in fondo l'hai uccisa tu...-
Lo guardò male, Al'ja.
-Sei tanto tanto scemo, lo sai?-
Jànos sbuffò, scrollando le spalle.
-Ma tu gli vuoi davvero troppo bene, a quello lì. Per sognarlo devi averlo vicino, e vicino non è ancora abbastanza...-
-Devo sembrarti proprio una sciocchina, eh? Ma provaci tu, a innamorarti di uno come lui!-
-Preferirei di no, davvero-
Natal'ja si portò una mano alla bocca, sbiancando.
-Oh...già-
-Che sorta di streghetta, questa piccina! Ma devi aiutarmi con la scaletta, adesso. Coraggio, Al, ho ancora qualche speranza o te la sei già bruciata, quella testolina?-
-Sai con cosa dovreste cominciare, Jàn? Getting Better e Le vie del rock sono infinite, le tue canzoni. Cioè, solo due delle tante, ma è un dettaglio. E poi... Poi suonerete qualcosa di straordinario. I'm looking through you, sicuramente, Something e All my loving, non si discute. She's a Rainbow e Ruby Tuesday, ovviamente, e...-
Jànos l'interruppe, acchiappandola per un braccio.
-Tesoro, è un concerto. Uno solo-
-Lo so, ma sono sicura che...-
Il giovane ungherese sorrise, raggiante.
-Anch'io-
-Ma quanto è straordinario, il mio Jàn-Jàn?-
-Tanto, temo. Non sperare di farlo piangere, perché piangere non sa-
-E irrecuperabile, anche- aggiunse Al'ja, inclinando un poco la testa.
Jànos annuì, con un mezzo sorriso.
-Uhm, immagino di sì-
Ricordò di quando aveva stilato l'elenco dei motivi per cui "il minator dal volto bruno" non l'avrebbe lasciata mai, Al'ja.
1 - Natal'ja è bella, da morire, anche se non ha seno.
A lei sta bene così, e se il Greco fa problemi gli spacco la chitarra sulla testolina, promesso.
2 - E' bionda, tanto, e son belli, i suoi capelli, anche se temo che non se li sia mai tagliati in vita sua.
E vabbé, al massimo ci inciamperà, il Greco. Capita.
3 - Il vestito bianco le sta d'incanto, davvero.
Sarà l'unico buono che ha, ma con quello è favolosa, lo giuro sulla mia Fender.
4 - Non ci vuole molto per farla sorridere, my backstreet girl.
Certo, il Greco è un bastardo, me ne rendo conto, ma le cose sono straordinariamente semplici:
Se lei smette di ridere lo carbonizzo.

Ma rideva ancora, Al'ja, adesso.
E Jànos era felice, tanto.
-Sai, se vuoi lo facciam davvero sul tetto, il concerto, Al'ja-

mercoledì 30 novembre 2011

Ali in gabbia, occhi selvaggi - Capitolo 5


-Cinque-

Sparta, 14 Settembre 2011


E così te ne vai
Cosa mi è preso adesso?
Forse mi scriverai
Ma sì, è lo stesso
Così vai via
L'ho capito sai
Che vuoi che sia
Se tu devi vai
Mi sembra già che non potrò
Più farne a meno
Mentre i minuti passano
Forse domani correrò
Dietro il tuo treno
Tu non scordarmi mai
Com'è è banale adesso...
(Amore Bello, Claudio Baglioni)

Natal'ja mia,
Sei sempre stata un po' speciale.
Sei sempre stata quella che ci credeva
Che scrollava le spalle se arrivava tardi
Si arricciava i capelli con le dita e una matita dietro l'orecchio
Ti serviva per scrivere i pensieri sul mio quaderno
E disegnarmi sulla moto come quando ci siamo conosciuti.
Mi lasciavi giocare con la spallina del tuo vestito, anche se mi guardavi male
Mi facevi cantare Beautiful Girl sulla London Tube e ripetevi ch'ero stonato
Ma poi m'hai tenuto stretto, all'ultima fermata
E un poco piangevi, ma non ti tradivi
Non me lo dicevi, cosa speravi
Che ti giurassi per farti felice.
E Natal'ja, mi sei mancata
Ma come te lo potevo dire,
Con la sfacciataggine di quando sembra che non me ne freghi niente, del carcere
O il mezzo sorriso di quando ti ho stretto la mano?
E adesso vorrei dirti ch'eri bella, tu
Con i capelli sciolti e il batticuore nel guardarmi.
Il mio dolore nel vederti piangere
Non l'ho mai voluto ascoltare.
Poi Theodorakis m'ha detto:
"Fidati, non ti scorderà.
Per il male che fai, per i baci che le dai
Quei baci di sabbia e di burrocacao
Tra i riflessi del Mersey e le strade di periferia.
E credimi, lei ti sognerà
Anche sul treno per Novosibirsk
Ti dirà chi l'ha vista, chi viaggia con lei:
Prima c'era Omsk, ma non è scesa
Prossima fermata Krasnojarsk
Dopo c'è Irkutsk, ma non la vedrà
Mosca - Vladivostok, dietro i finestrini appannati
Corre la steppa che arriva al Kazakistan, treman le mani che sfioran la nebbia
La nebbia fitta che c'è là
Corre e la sente perfino nel cuore
La Ferrovia Transiberiana
Come la luce che aveva negli occhi
Che non la faceva dormire, quando c'eri tu".
E' poetico, a volte, questo amico mio
Molto più di me, lo sai
Ma io ci ho creduto, alle sue parole
Alle promesse che avevi negli occhi
Alla Stazione di Liverpool, quando m'hai salutato.
Adesso tu mi chiederai di Anthea
Ed io non posso fare come Baglioni
Dire: "E adesso la pubblicità".
Ma se potessi vederti, sai
Ti abbraccerei senza averne il diritto
Ti porterei in moto sull'Acropoli, nel cuore d'Atene
Dove l'aria che si respira è quella di secoli fa
E all'ultimo giro ti direi che ti amo
Anche se tu non mi crederai
Più della libertà quando le catene
Credono di fermare questo sbandato
Ed io gliela lascio pure, l'illusione
Ma alla gente che mi guarda dietro le sbarre
Ai sorrisi di scherno nessuna soddisfazione
Mica lo sanno, loro, cosa si prova
A sperare di vedere una ragazza
Che ti si addormenti in braccio
Quando il mondo fa paura anche a te
Ma se mi credi, se sorridi
Se mi segui anche lassù
Io te la dico, l'ultima parte del discorso
Quella che mi tenevo per lo splendore tradito del Partenone
Splendore tradito che mi ricorda te
Quando mi volterò per non farti vedere che arrossisco
Quando la voce mi tremerà davvero
E chissà se in quel momento
Ti ricorderai del mio sorriso assurdo
Quando m'hai detto che quel giorno
Il cielo assomigliava a me
Anche se avevo la pelle scura, io, mica celeste come quello lì
E ch'ero bello come il sole, il sole che non si vedeva mai, da casa tua
Ed io nemmeno ti ho risposto, la paura di guardarti
Al'ja, che vigliaccheria!
Sei più bella della Grecia, tu
E sei proprio come il vento che ti si rompe negli occhi quando corri in moto
E fa volare le foglie sotto i piedi a scricchiolare e far inciampare quelli miopi come me
Che non le vedo manco se sono verdi, ma non ci farai caso, tu.

Dikoí sas, gia pánta, pánta, pánta, pánta dikoí sas
Gee

-Non potevi scrivere niente di più vero, Gee. Io sono il poeta, tu un deficiente-
-Lei...-
-Lei è Natal'ja-
Sorrideva, adesso, Theodorakis.
-Ti adora, lei-
-Io no?-
-Tu sei un deficiente, ricordi?-
Sospirò, Gee.
-Come no?-
Poi afferrò il cellulare, quel dannato teppistello, lo afferrò tanto velocemente da farselo quasi scappar dalle mani, ma Theodorakis l'acchiappò in tempo.
-Toh, Cyrano! Combina qualcosa di buono, stavolta, eh!-

Apó Gee na Al'ja

Somewhere in her smile she knows
That I don't need no other lover

-Certo che lo sa. Lo sa ma ha paura-
-Ne ho anch'io, Theo, credimi-
Sorvolando forzatamente sul Theo, Theodorakis Leonidas Dounas stiracchiò un sorriso.
-Dell'Ungherese?-
Gli tirò una cordiale gomitata, Gee.
-Nah. Del suo sorriso, piuttosto. Sai quanto fa male, quando non mi brucia negli occhi come a Liverpool. Mi manca, Al'ja. Mi manca, ma è sempre mia. Ed io...dici che ce l'ho, adesso, l'aria da decerebrato fedele?-
-Mica tanto, Gee-
-Eh, pazienza. Certo ch'era un Achille slavo, quel Jànos Desztor! Mi piacerebbe conoscerlo-
Tanto, a spezzargli la freccia nel tallone, sarebbe sempre stata lei.
Natal'ja.

martedì 29 novembre 2011

Ali in gabbia, occhi selvaggi - Capitolo 4


-Quattro-

Krasnojarsk, 13 Settembre 2011


Com'eri bella quella sera nel mio cuore
L'ultima sera
Che finisce il primo amore
Com'eri bella
Che nemmeno ti guardai
E così bella
Che nemmeno ti parlai
Com'eri bella
Quella sera nel mio cuore
Forse tutta la mia mente
E' diventata sabbia,
Eravamo noi, ricordi,
Quelli della rabbia

(Algeri, Roberto Vecchioni)

Dimokratìa Hélèna Dounas - In linea.
Era tardi, e quel mattino nevicava soltanto, niente bufere in vista.
La scuola cominciava davvero, c'era poco da fare.
Natal'ja pensò di salutare comunque l'amica di penna, le ci sarebbe voluto giusto un attimo.
Al'ja: Tìa!
Tìa: Al...
Al'ja: Tutto bene?
Tìa: Gee...
La ragazzina sorrise, finendo d'intrecciarsi i capelli e legandoli con un nastro azzurro.
Indossava l'abito bianco, quel giorno, forse il migliore che aveva, quello che piaceva anche a George.
Lui aveva cercato di toglierglielo, quell'abito, ma questo era un dettaglio, probabilmente.
Poi le aveva cantato All my loving, per farsi perdonare.
E aveva dovuto farsi perdonare anche per questo, perché era terribilmente stonato, Gee.
Al'ja: E' stato sospeso, vero?
Tìa: Sai che novità... Ma Anthea...
Al'ja: Quella che ha quasi travolto tentando di stendere Meletis?
Tìa: Beh, pur senza quasi, l'ha travolta. Ma in tutti sensi...
Lo sguardo di Natal'ja cadde sui suoi stivaletti di pelle blu, quelli coi lacci color crema, i suoi preferiti.
Non che ne avesse molte, di scarpe e di vestiti, ma a quelli teneva tanto, non lo sapeva, perché.
Forse non era il caso di pensare agli stivali, non in quel momento.
Al'ja: Non va tutto bene, vero?
Tìa: Mi dispiace tanto...
Natal'ja sorrise amaramente.
Pensò di mandargli un messaggio non in linea, a quel benedetto ragazzo.
Lo fece, ma sarebbe bastato?
Quanto male ti farai ancora perdonare, Gee?
Al'ja: Com'è, questa Anthea, dunque?
Tìa: Non come te...
A Natal'ja parve di vederla, la piccola Dimokratìa Dounas, il bel sorriso triste, gli occhi chiari sgranati, il suo stesso desiderio di sputargli in un occhio, a Brian George.
Tìa: Guarda che lui ti vuole bene, eh...
Al'ja: Anch'io.
Spense il computer, ultimò la cartella e pensò che sì, forse era arrivato il momento di andare a scuola.

-Ehi, Al, oggi cominci la mia scuola!-
Sorrideva, Jànos, sulla porta di casa, il libro di russo e l'antologia di letteratura ungherese sottobraccio, le scarpe slacciate e gli occhiali da sole, gli occhiali da sole con la neve, la neve siberiana che incendiava la via.
La scuola secondaria inferiore, dai dieci ai quindici anni.
Sarebbero stati insieme ancora per due anni, Natal'ja, Jànos ed Helga.
Con Hajnalka invece avrebbe passato tutti e cinque gli anni, ma Al'ja ci avrebbe scommesso i suoi stivaletti blu, ch'era già sui gradini di scuola, Hajnal.
-Già... La tua scuola-
Per la verità la frequentava già da un anno, Al'ja, la scuola di Jàn, ma a dieci anni si è ancora così piccoli, ad undici forse no.
Non che cambiasse poi molto, per lei.
-Contenta? Non sarai più lo scriccioletto della banda, se non altro. E poi...ci sono io!-
-Ci sei tu-
Non sembrava allegra come avrebbe dovuto, Al'ja, ma Jànos pensò che volesse soltanto prenderlo in giro.
Scrollando le spalle afferrò la cartella lasciata sui gradini innevati del condominio e le strinse la mano, avviandosi canticchiando Getting Better verso scuola.

Era implicito, tanto, il sorriso di Hajnalka, quel giorno.
Era agitata, forse, con le guance arrossate e gli occhi indaco scintillanti.
Il suo sguardo oscillava da Natal'ja al fratello, inquieto.
Li aspettava.
Nel raggiungerla Al'ja s'imbatté in una ragazzina dal cappotto lungo e i folti capelli rossi che le sorrideva con ben poca simpatia, a dir la verità.
-Ecco il chitarrista e la stracciona...- mormorò, incupendosi.
-Oh, immagino di essere "la stracciona", ormai-
Era flebile, la voce di Al'ja.
Non aveva il fuoco delle stelle nel sorriso, né il cielo negli occhi come al solito.
-Ci sarà sempre qualcuno pronto a dirlo, Al. Ma pensa a noi, ai Forradalmi... Pensa a George, il tuo "bellissimo straccione"-
Natal'ja sospirò, e un poco le mancò il fiato, alle parole di Jàn.
-Ma via, Al'ja: Io sono "il decerebrato ungherese", per Hélène. E' in classe con Helga, lei, e non è che vadano tanto d'accordo...-
-No?-
-Ehi, la Dolokova sembra tanto angelica, ma quando qualcuno le critica lo smalto e le amiche...-
-Lo fa per lo smalto e le amiche o per le amiche e lo smalto?- domandò Al'ja, inarcando un sopracciglio.
-Oh, non entrare nei dettagli, Al-
Sorrise, finalmente, la biondina di Krasnojarsk.
-Meglio di no, in effetti. Ma quella si chiama Hélène? Come Hélène Kuragina Bezuchova, che poi non se lo merita mica, il cognome di Pierre?-
-Hélène Vasilevna Arkonvskaja- annuì Jànos, guardando male la Kuragina del ventunesimo secolo.
-Se il mondo girasse secondo Guerra e Pace, immagino di sì-
-Ma il mondo gira secondo Guerra e Pace, Jàn. Ed io sono Natal'ja Rostova e George Anatol' Kuragin. E' un dato di fatto-
-Anatol' Kuragin?!- gridò il giovane ungherese, sgranando gli occhi.
-Uno peggio dell'altro, i tuoi paragoni-
-Non è che sia un paragone, Jàn- sospirò la ragazzina.
Poi corse da Hajnalka, le diede un bacio sulla guancia e sorrise mestamente.
Non la capiva, Jànos, quel giorno, la piccola Natal'ja.
Non la capì finché quest'ultima non acchiappò il suo telefonino dalla prima cerniera dello zaino e Jàn la vide scorrere con il dito sulla tastiera, lo sguardo tra il malinconico e l'apprensivo.
Finalmente parve trovare ciò che tanto furiosamente cercava.

Sgranò gli occhi, indietreggiando.
-Stai attenta!- brontolò qualcuno, travolto dagli stivaletti della piccina, ma lei non chiese scusa, forse non se ne accorse nemmeno.
Corse da lui, gli fece leggere il messaggio.
Janòs sorrise, riconoscendone il testo.
-I'm looking through you?-
Non era una domanda.
Loro la conoscevano fin troppo bene, quella canzone.
Poi lo sguardo gli cadde sul mittente.
-Nataljetshka...-
Alzò gli occhi sulla ragazzina, ma pareva imperturbabile, lei.
Qualche ciocca bionda e ondulata sugli occhi grigiazzurri e questi ultimi impassibili.
Feriti, ma impassibili.
Le mise una mano sulla spalla, Jànos, cercò lo sguardo di Hajnal, che scosse la testa.
Poi si decise.
Rubò il telefono dalle mani di Natal'ja e cliccò su quel maledetto mittente.
Avviò la chiamata.
-Brian George?- gridò al suo interlocutore, gli occhi ridotti a due fessure, l'espressione corrucciata.
-Sono Jànos Desztor, l'ungherese. No, non quello che sospetti essere lo pseudo - amante di Al'ja. Suo fratello. No, non il fratello di Al'ja. Che diamine, ragiona! Te la passo, ok? Perché non ha chiamato lei? Sai com'è, ha un crampo alla mano. Sì, a tutte e cinque le dita. Fenomeno del metacarpo dormiente, conosci?
Succede quando si ha a che fare con ragazzi cretini. Sai, quelli proprio irrecuperabili. Al'ja, parla con questo gran rubacuori ellenico. Toh, parla con 'sto pseudo - pirata. Dico troppo spesso la parola "pseudo"? Son ripetitivo? Pseudo - buttati nell'Egeo, tesoro-
Natal'ja afferrò il telefono con le mani tremanti.
Rispose con un filo di voce.
-Gee?-
Non disse niente, e Jànos se ne spaventò.
-Ti voglio bene...-
"Credo", avrebbe voluto dire, ma ne era sicura, lei.
-...ancora-
Jànos la guardava immobile, gli occhi spalancati.
-E' cretina. Cioè, è una decerebrata-
Le sfilò il telefono un'altra volta, sputacchiando sulla tastiera:
-George, sai che stai con una decerebrata? Contento? Oh, fattacci tuoi. Ma la decerebrata piange, anche se non dagli occhi. George, te li ricordi i suoi occhi? Sono tanto belli, consumavano le tue foto. E' una decerebrata fedele, questa qui. Te la ripasso, eh! E tanti auguri!-
Rideva, adesso, Natal'ja.
Rideva, e sperava che George, dalla Grecia, si sentisse morire quanto lei, anche se adesso rideva.
-Gee...sei così incredibilmente stupido-
-Non provare a chiudergli il telefono in faccia, che le chiamate Siberia Centrale - Laconia costano una fortuna, e poi ti tocca richiamarlo. No, beh, la chiamata a carico del destinatario sarebbe un'idea. Ma...tu cosa ti consiglieresti, al posto mio?-
Era incredula, Natal'ja.
La sorprendeva sempre, quel benedetto ungherese.
-E' straordinario, Jàn-Jàn, no? Anche tu, per quanto bastardo. Devo entrare a scuola, adesso. L'ha già capito, Anthea, che sei troppo cretino per lei? Non farlo più, Gee. Fa troppo male, anche se solo a me-
Stavolta chiuse la chiamata, Al'ja.
Guardò Jànos, che le sorrideva tra l'imbarazzato e il soddisfatto.
Dunque lo vide passarsi una mano tra i capelli nerissimi, scrutandola con i bruni occhi ridenti.
-Eh, Al'ja. Sei forte, tu-
-Può darsi, Jàn. Andiamo?-
-Natal'ja! Piantala di confabulare con l'ungherese e muoviti, per grazia divina!-
Natal'ja a Jànos sorrisero, alzando gli occhi al cielo.
-Helga...-

Quelli belli come noi
Che non cambieranno mai
(Quelli belli come noi, Roberto Vecchioni)

Ci ripensava, a volte, Al'ja.
La vacanza studio a Liverpool, la città di suo padre, e lui ch'era sulla moto e la guardava, la mangiava coi suoi occhi scuri scuri, senza parole.
Ricordava che aveva tirato una gomitata al suo amico biondo, Theodorakis, il quale era balzato giù di sella e le aveva scattato una foto con una di quelle macchine fotografiche che stampano istantaneamente, per poi portargliela da autografare.
-E' per Gee, l'impedito lì in fondo. In genere si fa avanti lui, ma guardalo, pare l'Efebo di Anticitera, solo che tutti quei muscoli non li ha mica, lui-
-Non c'è problema, lo giuro-
Poi non l'aveva più saputo nemmeno lei, cosa dire.

Quelli belli come noi
Non dimenticano mai
Quella prima volta che
E quell'altra volta se
E poi finalmente te
(Quelli belli come noi, Roberto Vecchioni)


lunedì 28 novembre 2011

Ali in gabbia, occhi selvaggi - Capitolo 3

-Tre-

Sparta, 12 Settembre 2011


That's what she said so softly
I understood for once in my life
And feeling good most all of the time

But she smiled sweetly
She smiled sweetly
She smiled sweetly
And said: "don't worry"
Oh, no no no

Questo è quello che lei ha detto a voce così bassa
Ho capito per la prima volta in tutta la mia vita
E mi sono sentito bene più di tutti i tempi

Ma lei sorrideva dolcemente
Lei sorrideva dolcemente
Lei sorrideva dolcemente
E diceva: "non preoccuparti"
Oh, no no no

(She Smiled Sweetly, The Rolling Stones)

-E' quell'ungherese, me lo sento-
-Quale dei quattro? Hajnalka ha quattro fratelli, mi risulta. Senza contare il padre...-
George frenò all'istante, sgranando gli occhi.
-E' vero...-
-Disgraziato!-
Ruotando lentamente la testa, il ragazzo si rese conto di non essere stato l'unico a frenare, per di più in mezzo alla strada.
-Gee, dai, andiamo- lo richiamò all'attenzione Theodorakis, sorridendo con estrema nonchalance all'automobilista quasi travolto dall'amico.
Gli rivolse un breve cenno di saluto, al quale quest'ultimo rispose sbattendo ripetutamente la testa sul volante.
George si fece dapprima spaventosamente pallido, per poi passare ad una gradazione di rosso acceso piuttosto inquietante.
-Sai che dico, Theo? Io quell'ungherese lo sbriciolo-
-Buona idea- annuì Theodorakis, riallacciandosi il casco e passando a Gee il suo, con un sospiro.
-Dovresti metterlo, sai? Tanto contro gli alberi ci vai lo stesso, non preoccuparti-
Poi ripartì, lasciando l'anglo - greco ad imprecare fino al sopraggiungere delle minacce dell'automobilista.
-Il carro attrezzi e il riformatorio, ci vogliono!-
George scosse la testa e, declinando più o meno cordialmente le proposte, seguì quel dannato biondino ch'era il suo migliore amico.

Era a casa, Gee, la casetta bianca e azzurra divisa coi nonni sul Taigeto, tra le selve, il cielo e il ricordo del mare, le strade dissestate e le curve allucinanti.
Non ne passavano mai, di macchine, lì, solo la sua moto e quella di Theodorakis, la bicicletta di Tìa e lo skateboard di Akhylleus, il piccolo dei Dounas.
Sorrideva, Gee, di quel suo sorriso sempre un po' troppo fiducioso, e non aveva poi tanto l'aria dello scapestrato, in quel momento, con le ginocchia sbucciate per la sua ultima caduta in moto e il sole negli occhi, stanco, forse, dopo la sua ennesima sospensione.
Un ragazzino troppo ribelle, che non sempre li dimostrava, quindici anni, quei quindici anni che a volte eran tredici e a volte diciannove, quegli anni di sogni così disperatamente in alto, che lo facevano stare male.
-Che hai, Gee? Sembri un barbagianni-
Sorrise, George, pur senza distogliere lo sguardo da quel graffio cobalto di terra che immaginava fosse il preludio di quel loro Egeo sempre da raccontare.
-Vieni qui, Tìa-
La bambina assottigliò lo sguardo, cercando d'indagare coi begli occhi l'aria persa del suo Gee tutto da decifrare.
George s'inginocchiò ai piedi dell'amica, prendendole la mano.
-Secondo te ho qualcosa contro gli Ungheresi?-
Dimokratìa sospirò, guardandolo con quell'infantile tenerezza che lo confondeva sempre, quel pazzerello di George.
-Figuriamoci. Tu non l'hai manco mai visto in faccia, un magyar. Ma credo che quell'ungherese che vuol bene alla tua Al'ja non ti stia tanto simpatico...-
Sorrise, George.
-Non le vuol bene quanto me-
-Tu sei bellissimo, secondo me. E anche dolce, tanto, ma...sei tu. E non sei sempre dolce, tu, ma bello sì, anche quando cadi dalla moto. Non è un complimento, sai? Sei terribile, a volte, e quella piccina ti vuol bene lo stesso-
-Senti chi parla di piccine...-
-Io non sono piccola, sorta di filibustiere. Non nel vero senso della parola. Ero piccola quando mi hai vista nascere, forse, quando mi tenevi in braccio. E' piccola lei, perché ti vuole bene, e così tanto, Gee! Io non ce la farei-
-Ma mi vuoi bene anche tu, vero?-
-Sì, come se tu fossi la mia sorellina-
La guardò un po' storto, George, riflettendo sulle sue parole.
-Non è che hai invertito i ruoli, Tìa?-
Dimokratìa scosse la testa, angelica.
-Oh, no, te l'assicuro-

-Gee! E' arrivata Anthea!-
Dimokratìa sbarrò gli occhi, stringendo forte la mano di Gee.
-Farnetica, mio fratello?-
George scrollò le spalle, guardandola interrogativo.
-C'è Anthea, tutto qua-
Scosse la testa, Dimokratìa.
George non li capì, i suoi occhi tristi, in quel momento.
-Ti prego, non portarla dove comincia il fiume, dove l'Eurota splende nei tuoi occhi e ti senti morire. E ti prego, non baciarla in riva al fiume, non sorriderle col sorriso che hai, che fa tremare e frantumare e non tornare. Ti prego, non le dire ch'è bella come lei, non salutarla con la carezza che hai fatto quel giorno a lei, prima che la nave partisse, non scioglierle i capelli, non farle credere d'essere come lei! Ti prego, non stringerle la mano, non farla salire sulla moto, non correre, non portarla a Micene, non provare a fare come facevi con lei...-
Il ragazzo la guardò con un mezzo sorriso, ma non era già più lo stesso di prima, quel sorriso.
-Dillo all'ungherese, di non baciarla in riva al fiume, la mia Al'ja-
Poi recuperò il cellulare -quello di scorta, rubato dopo il sequestro da parte di nonna Talia- che aveva lasciato per terra accanto al casco, cercò il numero di Natal'ja.

Apó Gee na Al'ja

Why, tell me why, did you not treat me right?
Love has a nasty habit of disappearing overnight

(I'm Looking Through You, The Beatles)

Ali in gabbia, occhi selvaggi - Capitolo 2

-Due-

Krasnojarsk, 12 Settembre 2011


Close your eyes and I'll kiss you
Tomorrow I'll miss you

Chiudi gli occhi e ti bacerò
Domani mi mancherai

(All my loving, The Beatles)

All my loving.
Sorrise, Natal'ja.
Gliel'aveva dedicata George, All my loving.
Aveva interrogazione di filosofia, Gee, quel giorno, ma il vizio di chiamarla da sotto il banco poco prima che il professore -lo presentiva- lo chiamasse a sua volta -e non al telefono, disgraziatamente- non gli sarebbe passato mai.
Fece per rispondere al cellulare, e per poco quest'ultimo non le cadde di mano.
-Cristo, Al, l'ha steso!-
-Jàn?-
-Feri è in Presidenza, che Jàn e Jàn!-
-E ti stupisci? Cioè, ti stupisci ancora?-
-E' in Presidenza è ha steso il Preside, è questo il punto-
-Ah...-
-Ah, appunto-
-Beh, ma gli passerà, no?-
-Cosa?- gridò Jànos Desztor, l'ungherese della porta accanto, esasperato.
-Il trauma cranico al Preside e l'ira funesta al Capitano-
-Impiccati, Al. E corri!-
Un mostro di coerenza come sempre, Jànos Desztor.

-E' un bravissimo ragazzo, garantisco io! Cerca sempre di non essere in galera, per il mio compleanno-
-Ma ha mandato in black-out l'intera scuola, e poi anche il Preside!-
-Eh, che ci volete fare, è un elettricista...-
Feri Desztor, diciassette anni, era un ragazzo decisamente poco pacifico.
Il temuto batterista - mezzo terrorista dei Forradalmi, i Rivoluzionari.
Ungherese fino allo sputo, e a sputi prendeva tutti gli altri, in genere.
A Natal'ja, non si sapeva con esattezza perché, un po' di bene lo voleva.
Un bene un po' burbero e rude, ma gliene voleva.
E lei lo recuperava sempre, in un modo o nell'altro, dai suoi guai e dalle sue ribellioni, anche solo per uno di quei sorrisi belli di rancore e di rivalsa, per quell'implicita, sconfinata ammirazione e adorazione che le lasciava decifrare solo strizzandole un occhio.
Era bello, Feri, ma le ragazze ci pensavano due volte, prima d'avvicinarsi a lui.
Sarà stato per le relativamente minacciose bacchette della batteria che teneva costantemente a portata di mano, sarà stato per quella pistola che pareva non scaricarsi mai da cui forse non si separava nemmeno nel sonno, che lui di soldi non ne aveva, ma quelli per pagarsi il porto d'armi -sempre che lo pagasse- li trovava sempre.
Secondo il personalissimo parere di Natal'ja, per stare al fianco di uno come lui, o perlomeno per non venirne calpestati, bastavano un po' di sfacciataggine e un po' di coraggio.
E per Natal'ja la Sfacciata, Natal'ja la Coraggiosa, la Sfuggente, come la chiamavano i ragazzi della banda, lo scricciolo biondo, la fatina delle steppe innevete, Feri Desztor era una sorta d'eroe.
Lo chiamavano il Capitano, Feri, e non perché fosse il leader della band: quello era Jànos e non si discuteva.
Feri era il Capitano perché era lui, perché aveva l'aria di quello che non si è sempre nelle condizioni di poter contraddire, anzi.
Molti lo chiamavano semplicemente "il bullo della scuola", ma non era mai stato visto a minacciare ragazzini indifesi con l'Einstand dei Ragazzi della via Pál, lui.
Semplicemente, Feri lasciava senza parole.

-Al'ja, la mia chitarra!-
-Al'ja, lo smalto!-
-Al'ja, se non ti sposti ti meno-
-Al'ja, mi sta bene?-
Natal'ja si fece sempre più pallida, sgranando gli occhi davanti allo sguardo fiammeggiante di Jànos e alle sue "amiche smaltate".
-Al'ja, Khristos, dì qualcosa-
-Sono seduta sulla tua chitarra, Jàn?-
Jànos strinse i denti, annuendo.
-Oh, non me n'ero accorta-
Il tredicenne ungherese sorrise con estrema dolcezza, la tipica dolcezza di chi si sta trattenendo a stento dallo spaccare la faccia al suo interlocutore.
-Adesso lo sai, quindi spostati-
Natal'ja parve meditare, o per meglio dire meditò finché Jànos non l'afferrò per i capelli, liberando finalmente la sua Fender.
-Jàn, mi spettini- sibilò la ragazzina, facendo sorridere -pur non avendone alcuna intenzione- con un'occhiataccia l'aitante chitarrista ungherese.
-Mai stata pettinata, tu- commentò Helga Björg Dolokova, inarcando un sopracciglio.
Natal'ja le fece la linguaccia, ignorandola.
-Taci, Hell. Hajnal, lo smalto ti sta benissimo, anche se non si vede-
-Come non si vede?!-
Hajnalka Desztor pareva essere stata messa davanti alla rivelazione del secolo.
-Vorrei ben dire, Al'ja, è trasparente- precisò Helga, sbattendo le ciglia.
Hajnalka tirò un sospiro di sollievo, Natal'ja fece un passo indietro, colpita.
-Ha un senso?-
Poi abbassò lo sguardo sulle sue unghie, non smaltate da una vita, se non addirittura da tutta la vita.
Sorrise, scompigliandosi un poco la chioma con le mani, sotto gli occhi severi di Helga.
-No, decisamente, è lo smalto in sé a non avere un senso-
Hajnalka la guardò delusa, rimirandosi le unghie con molto meno entusiasmo di poco prima.
-Non farti problemi, Hajnal, è proprio il rapporto Al'ja - smalto ad essere difettoso. Ricordi? L'ultima volta ch'è venuto George ha passato la notte ad intrecciarsi i capelli -con le corde della chitarra di Jàn, ma questo è un dettaglio-, ed avendo finito la lacca...-
-Pensavo che fosse la stessa cosa!-
-Già...-
-Ehi, ehi, Hell, lascia stare la mia Al'ja. Lei sta bene anche senza contralto, guarda che arcobaleno di streghetta abbiamo qui! Una via di mezzo tra She's a Rainbow e Ruby Tuesday, non so se mi spiego-
La disordinata biondina sorrise a Jànos, che le unghie se le consumava sulle corde della chitarra, scrollando le spalle.
-Sentito?-
-Meno vanterie e più smalto, Al-
Jànos sospirò, scrutando con curiosità la pseudo - principessina islandese che si trovava davanti, che arrossì furiosamente, infuriandosi nel vero senso della parola.
Infatti fece cadere la boccetta dello smalto sui plettri di Jàn, che lanciò un grido altissimo.
Quando si riebbe respirò profondamente, passandosi una mano tra i capelli e fulminando nuovamente la Dolokova, dopodiché si rivolse ad Al'ja.
-Mandala al diavolo, ogni tanto, pavoncello-
-E se ricominciassimo da capo?-

Era il 12 Settembre 2011, ma il primo giorno di scuola era saltato causa bufera di neve.
Per tutti meno che per Feri, dato che l'Istituto per Elettricisti "se ne infischiava, della neve", sebbene "il diritto di arrogarsi tale diritto" non si capiva bene chi gliel'avesse dato.
Così eran finiti lì, nella camera dei fratelli Desztor, tra boccette di smalto, piastre per capelli, nastri, tastiere, batterie e chitarre elettriche, a sorridersi e a litigare come in fondo avevano sempre fatto.
Natal'ja aveva pensato bene di placare gli animi accendendo il computer, pregando che almeno uno dei loro amici di penna greci -leggasi il suo amico non solo di penna greco- fosse in linea.
-Non abbiamo ancora risparmiato abbastanza per la webcam, vero?- domandò un po' tristemente.
-No, e per quel giorno dovrai mettere lo smalto!- gridò Helga, ricambiando la sua precedente linguaccia.
Geó̱rgos Zemekis o' Spartiáti̱s 1996 - In linea.
Natal'ja Zirovskaja Sibirskiĭ 2000 - In linea.
-Cielo!-
Al grido di Natal'ja le tre pesti accorsero, interrompendo qualsiasi altra pseudo - produttiva attività.
Poi, in religioso silenzio, si sistemarono intorno alla scrivania, gli occhi sullo schermo, le dita incrociate.
Al'ja: Dó̱bryj Djen'...
Gee: Kaliméra!
-Come cavolo scrive?!- protestò Helga, allungando il collo verso il piccolo computer bianco.
-E' greco, Hell-
-Che c'è, Al, i Russi ti facevano schifo?-
-Ma lui è...-
-Un porco, ecco cos'è- l'interruppe Hajnalka, che l'aveva capito dallo sguardo ballerino del ragazzo l'unica volta che l'aveva incontrato.
-Ma no, è così... Avete presente Dostoevskij? Avete presente Raskòlnikov?-
-Cavolo, bel paragone!-
-Ma io...-
-Ma tu, ma lui, ma l'idiozia di entrambi!- cantilenò Helga, facendo ridere Jànos.
-Mica male, dai, la principessina di Reykjavík!-
Al'ja: L'interrogazione?
Gee: Mi hanno sospeso prima...
Natal'ja si voltò verso le amiche -e Jànos-, raggiante.
-Visto? E' spiritoso...-
Gee: Meletis, ch'era interrogato prima di me, ha definito Omero "quella vecchia talpa", ed io temo di...non averci visto più.
In tutti i sensi, dato che son praticamente passato sul cadavere di Anthea.
Ma insomma... A me stanno simpatiche, le talpe. Che diamine, le capisco! E poi non son costrette a portare gli occhiali, loro.
E Omero... Omero è un grande, non si discute.
-Era- rifletté Helga, aggrottando la fronte.
-Lui non lo sa!- gridò Natal'ja, accorgendosi dopo dell'ambiguità dell'affermazione.
-Voglio dire che si rifiuta di realizzarlo. Nella sua realtà immaginaria Omero è arzillo come un petauro dello zucchero. E' il suo idolo. Semplice, no?-
Al'ja: Ma Meletis...il padre di Theo?
E' ripetente anche lui? Ma diamine, ha trentasette anni...
Gee: Meletis il mio compagno di classe, quello grasso, basso, tarchiato e con i baffi.
Al'ja: Accidenti!
Gee: Le ragazze lo definiscono "uno schianto", per la verità.
Ma un giorno io lo chiudo nel registro, parola d'onore.
Al'ja: Oh...
-E' solo un pochino...originale!- lo difese Natal'ja, gelando sul nascere qualsiasi adorabile osservazione di Helga.
-Esaltato?-
-Patologico?-
-Psichiatricamente perseguibile?-
-Semplicemente deficiente?-
-Straordinario, no?-
-Non sai quanto, Al, non sai quanto-
Helga sospirò gravemente, alle parole di Jànos.
-Oh, non lo sa davvero!-
-E' così bello, lui...-
-Dio, Al'ja, no!- gridò Jànos, lanciandosi sulla scrivania.
-No?-
Al'ja: E' così bello, lui...
-No!-
Gee: Chi?
-Potevi limitarti a dirlo, no?-
Al'ja: Tu...
Gee: Io sono "lui"?
Al'ja: "Lui" sei tu, più che altro.
-E' uguale, Al...-
Gee: Sicura?
-Io o Al'ja?- si domandò Helga, confusa.
Al'ja: Siamo sicure entrambe, Gee!
Gee: Ah sì?
Jànos sgranò gli occhi, incredulo.
-Oh, io mi dissocio!-

domenica 27 novembre 2011

Ali in gabbia, occhi selvaggi - Capitolo 1

Per Ceci, che li fa domani, quattordici anni, ma è un dettaglio, in fondo.
E' un "regalo a tempo indeterminato", questo, dato che temo -per lei, più che altro- che i capitoli continueranno, ma...dai, è un regalo nel mio stile. ;)

Ali in gabbia, occhi selvaggi (cit. Notre Dame de Paris), ovvero Sic Volvere Parcas ai giorni nostri.

-Uno-

As you lose all control
To this slip of a youth
I see fire in his eyes
I see ice in his smile

Come perdi il controllo
Per l'avvicinarsi del giovane
Vedo il fuoco nei suoi occhi
Vedo il ghiaccio nel suo sorriso

(New Faces, The Rolling Stones)

Sparta, 12 Settembre 2011

Brian George parcheggiò il motorino fuori da scuola, scese con un salto e si strinse al petto il libro di filosofia, dal quale spuntava la foto stropicciata d'una ragazzina bionda e spettinata.
Sorrise lievemente, si scompigliò un poco i capelli e fece per togliersi gli occhiali.
Da vista, naturalmente.
-Fossi in te non lo farei, Gee- lo rimbeccò Theodorakis Dounas, fulminandolo con lo sguardo.
-Poi vai a sbattere contro le primine, quelle ti chiedono il numero e tu sei costretto a confessare che il tuo telefonino ce l'ha in ostaggio Talia. Talia, tua nonna, non so se mi spiego-
-Oh, Theo, se continui con 'sti termini lo capiscono tutti, che siam stati noi a rapinare...-
-La Banca Centrale-
Theodorakis, da sempre poco simpatizzante con i soprannomi, strinse i denti, guardandosi intorno circospetto.
-Veramente era un'antica libreria, ed era straordinaria. Io in banca mi annoio...-
-Ed è questo, quello che davvero non bisogna far sapere-
Poi indicò la ragazza della foto, sorridendo sarcastico.
-Almeno il suo nome te lo ricordi?-
-Vuoi un pugno in un occhio, Theo? Io Natal'ja la sposerò-
-Hai quindici anni, Gee-
-Tu ne hai ventuno e sei nella mia classe, potrei anche avere qualcosa da ridire sulla tua baldanza, eh-
-Parla quello che studia solo greco e filosofia e muore per una siberiana. Una siberiana che ti scrive i messaggi in cirillico e che hai registrato in rubrica sotto il nome di Stárlet-
George sbuffò, zittendo l'amico con una gomitata.
Scosse lentamente la testa, voltandosi, ma intercettò lo sguardo di una studentessa particolarmente carina e si affrettò a distogliere gli occhi, confuso.
-Quella che ha da guardare?-
-Oh, non me lo chiedere. Non hai nemmeno la metà del mio fascino, tu!-
-Ma perlomeno non ho l'età di suo nonno-
-Lascialo perdere, Anthea. Non sei siberiana!- gridò il biondo ventunenne alla ragazza, che arrossì un poco, fingendo di essere particolarmente interessata ai gradini dell'edificio.
Era bello, Gee.
Una sorta di teppistello arcimiope e talvolta un po' perso, il fumatore più incallito della scuola, ladruncolo di libri e di cuori, sempre pronto a cercare una manciata di spiccioli nelle tasche del prossimo e un sorriso spolverato sul volto d'una ragazza che tanto, era sottinteso, non sarebbe mai stata come la sua zingarella siberiana.
Un po' meno sottinteso sia per la fanciulla in questione che per la biondina slava, ma era pur sempre un dettaglio.
Natal'ja... Gli voleva bene, lei.
Da morire.
Ed era lontana, tanto, ma al suddetto delinquentello greco non importava niente.
Nemmeno del suo avergli scarabocchiato l'adorata Iliade in cirillico, né dell'avergli messo sull'ipod gli adorabili assoli di Nikolaj, il chitarrista polacco del secolo, nonché suo cugino.
Aveva una fama un po' epica un po' da pericolo pubblico, Gee, sempre in giro col suo motorino per le vie antiche di Sparta, sigarette spente nel libro di filosofia, sempre bello un po' più del lecito, che a volte le giustificazioni per le assenze se le faceva firmare direttamente dal carceriere.
Lo sapevano tutti, che tra le panchine dei Giardini e la galera ormai non faceva più differenza, ma non si scomponeva, questo mai.
S'era scomposto quando l'avevano pseudo - arrestato per un bacio sulla guancia dato alla biondissima sorella di Theodorakis, Dimokratìa Hélèna Dounas, a sua detta "la straordinaria Tìa", non per altro.
Sospiravano un poco, le ragazze della sua classe, quando capitava loro di scorgere, tra le varie scartoffie di Gee, la foto del loro pseudo - eroe e delle sue due ragazze bionde, Tìa e Al'ja, che Brian George Gibson lo conoscevan davvero.
Era di Liverpool, il padre di Gee, ma lui era forse il più fiero Spartano della città, anche se la loro verde Spárti non era più quella d'un tempo, anche se la Grecia non era più il Paese dei grandi eroi.
Geórgos Zemekis, scriveva lui sui quaderni, firmandosi col cognome di sua madre e di suo nonno, ma tutti lo chiamavano Gee.
Gee, il ragazzino un po' sognante un po' sognato, che Theodorakis Dounas aveva fermato appena in tempo dal distruggere per l'ennesima volta i suoi odiati occhiali da vista, stava per ricominciare la scuola.



sabato 2 luglio 2011

Natal'ja - Amore perduto, risorgi d'inverno



Chi non ha scarpe non ha ragione mai
Chi non ha scarpe non ha padroni

(L'amore con l'amore si paga, Fiorella Mannoia)


Sono cresciuta in mezzo ai soldati
Ma la gloria era tutta loro
Sono cresciuta con quel ragazzo ungherese
Che mi sfidava a duello se gli pestavo un piede

Sono cresciuta tra gli uomini avari
Che mi negavano il pane perché ero donna
Che sputavano nell'acqua che bevevo
E mi lasciavano a piangere tutta la notte

Sono cresciuta in periferia
Coi morti viventi che mi stringevano le mani
Ho respirato il fumo delle fabbriche
Nel fiume il mio riflesso sbiadiva un poco
Il mio carceriere camminava lento
Ed io morivo nelle cicche che spegneva

Sono cresciuta con le catene ai polsi
E in quella cella dissi: "sposerò un brigante"
Che mi vengano a prendere dall'altro mondo
Che mi mandino la mamma con il suo sorriso
Che mi mandino papà dall'Inghilterra
Che mi mandino lo zar da Pietroburgo
Che possa gridargli quanto è infame
A lasciarci morire di freddo nei vicoli
A giudicare le nostre vite dall'alto
A sputare sui sospiri degli altri
A lasciarci senza niente con un giornale addosso
A consumarci le mani nei campi
A raccogliere il grano per lui
Che sorride nella luce dei suoi sfarzi
Che gli crolli addosso il Palazzo d'Inverno
Che gli crolli addosso la Mërtvogo Doma
La farò io la Rivoluzione

Sono cresciuta tra i giornali di ieri
Che quando li leggevi erano già invecchiati
Che quando li aprivi erano pieni di polvere
Ma i nostri sogni non c'erano mai
E tra le pagine sottili vedevi svanire il sorriso
Sui volti pallidi dei Decabristi
Appesi alle forche, morti per noi
Per una libertà che non avremmo avuto mai

Amore perduto, risorgi d'inverno
In quei sogni che nessuno leggeva
Tra i refusi delle pagine volate via
Siamo noi la Rivoluzione

sabato 25 giugno 2011

Personaggi

Natal'ja Eileen Morrison


Occhi: Grigiazzurri
Capelli: Biondi
Data di Nascita: 27 Febbraio 1825
Luogo di Nascita: Krasnojarsk (Russia Siberiana)
Luogo di Residenza: Krasnojarsk/Liverpool (Regno Unito)
Quartiere di Residenza: Forradalom(Krasnojarsk)/Wavertree(Liverpool)
Gli amici la chiamano: Natalys - Alja
Suo padre la chiama: Leen
Sua madre la chiama: Nataša
George la chiama: Luce - Lucy - St
árlet - Cunégonde
Occupazione: Fiammiferaia
[...]Lei era deliziosa e graziosissima esclusivamente quando stava in silenzio, con i bei piedini infilati per sbaglio negli stivali di Feri, la camicia del corredo da ufficiale di Nikolen'ka sfoggiata al contrario sopra la veste da notte e i capelli che anche se raccolti le superavano la vita, un po' mossi un po' no, dello stesso colore del miele di tiglio, lunghissimi e lucenti come il manto di una leonessa - sebbene a causa della scomoda posizione assunta dalla ragazzina durante la notte avessero preso una piega terribile.
Confusionaria e disordinata, spettinata e irriverente, spensieratamente bella e schifosamente contraddittoria.
(dal capitolo 44)
Canzone che Martina attribuisce a questo personaggio: She's a Rainbow e Ruby Tuesday - The Rolling Stones; Lucy In The Sky With Diamonds e Girl - The Beatles; Lucy - Julian Lennon; Fortissimo - Rita Pavone; Pa' diglielo a ma' - Nada; Montagne Verdi - Marcella Bella; Vivere per amare e Bella - Riccardo Cocciante - Notre Dame de Paris; Live for the one I love - Céline Dion; Chi sei - Riccardo Cocciante - Giulietta e Romeo; Bambina Innamorata - Edoardo Bennato; Caterina - Francesco De Gregori.

Brian George Gibson

Occhi: Neri
Capelli: Neri
Data di Nascita: 26 o 27 Febbraio 1821
Luogo di Nascita: Sparta (Grecia)
Luogo di Residenza: Sparta/Liverpool
Quartiere di Residenza: Accampamento dei Kléftes, Taigeto(Sparta)/ Wavertree(Liverpool)
Gli amici lo chiamano: Gee
Suo padre lo chiama: Georgie
Sua madre lo chiama: Geórgos
Natal'ja lo chiama: Georgij - Candide
Occupazione: Brigante
Un brigante un po' filosofo un po' marinaio, questo era Brian George.
Con l'inseparabile Iliade e gli stivali di pelle nera, con i capelli spettinati e quei suoi occhi meravigliosi, con quel dente spezzato e il sorriso spavaldo, con la camicia strappata e la cavigliera d'argento, il cuore silvestre e le sue cicatrici.
Ma George aveva ciò che nessun eroe poteva permettersi di avere.
Una maledetta paura di morire.
(dal capitolo 31)
Canzoni che Martina attribuisce a questo personaggio: Street Fighting Man e The Worst - The Rolling Stones; Fish on the Sand - George Harrison; Ahi ahi ragazzo, Rita Pavone; Someplace Else - George Harrison; Gli occhi negli occhi - Riccardo Cocciante - Giulietta e Romeo; Bello e Impossibile - Gianna Nannini; Sbandato - Edoardo Bennato; La Bellezza - Roberto Vecchioni; A Modo Mio - Claudio Baglioni; Io Sono Qui - Claudio Baglioni; Something - The Beatles; Farewell - Francesco Guccini; Angeleyes - ABBA.


Julyeta Iljodorevna Zirovskaja


Occhi: Azzurri
Capelli: Biondi
Data di Nascita: 7 Febbraio 1811
Luogo di Nascita: Krasnojarsk (Russia Siberiana)
Luogo di Residenza: Krasnojarsk/Liverpool(Regno Unito)
Quartiere di Residenza: Forradalom(Krasnojarsk)/Wavertree(Liverpool)
Gli amici/parenti la chiamano: Julen'ka
Harold la chiama: Julia - Julie - Juliet
Occupazione: Pasticcera
Biscottificio Kutuzov.
Natal'ja bussò tre volte, finchè una donna dai chiari capelli raccolti disordinatamente con un nastro di stoffa celeste non le aprì.
Nel tempo di un respiro, Natal'ja fu travolta dall'abbraccio di bianche braccia e dolci, materni baci.
-Vieni, Natal'ja, vieni!- gridava la donna in russo.
Afferratala per un braccio, la trascinò davanti una profumata tavola imbandita, davanti alla quale Natal'ja trasecolò.
Decine e decine di sacchettini di stoffa colorata decoravano a festa la tavola, celando al loro interno caldi frollini d'ottima fattura.
Limone, cioccolato, cannella, zenzero, marzapane, cocco, miele, burro, zucchero, latte, miele, cereali.
Ce n'erano di tutti i tipi.
(dal capitolo 7)

Canzone che Martina attribuisce a questo personaggio: Julia - The Beatles; Ogni Tanto - Gianna Nannini; Slipping Through My Fingers, ABBA.

Harold Morrison

Occhi: Azzurri
Capelli: Biondi
Data di Nascita: 31 Dicembre 1810
Luogo di Nascita: Liverpool (Regno Unito)
Luogo di Residenza: Liverpool/Krasnojarsk (Russia Siberiana)
Quartiere di Residenza: Wavertree(Liverpool)/Forradalom(Krasnojarsk)
Gli amici/parenti lo chiamano: Harrie
Occupazione: Falconiere/Filosofo
Faceva il falconiere, lui, ma lo faceva con filosofia, tanto che girava voce che i suoi falchi fossero i più tranquilli e dotti del circondario.
Veri e propri falchi di biblioteca, che non per niente portavano i nomi dei più grandi letterati dell'Antica Grecia.
Harold si rendeva conto di non avere molto successo, allevandoli in quel modo, ma gli pareva un'autentica barbarie costringere quelle povere creature a rinunciare alla cultura per dedicarsi ad animali indubbiamente più ignoranti di loro.
A Natal'ja era sempre piaciuta, l'Agorà Ornitologica di suo padre, che trattava i falchi come scolaratti, disponendoli come nella stanza dei busti del Trinity College.
Suo padre, in fondo, era fatto così. Era un po' matto, ma le voleva un mondo di bene.
Anche lei.
Quando era piccola, Harold era solito leggerle brani del Fedone di Platone.
Un passaggio in particolare le era rimasto impresso:
"Un uomo, possiamo dirlo, di quelli che allora conoscemmo il migliore; e senza paragone il più savio e il più giusto".
A Natal'ja piacque talmente tanto, quella frase, che subito la identificò come la migliore definizione mai suggeritagli dal mondo antico per descrivere suo padre.
(dal capitolo 11)
Canzone che Martina attribuisce a questo personaggio: The Fool on the Hill - The Beatles
Anasthàsja Zemekis


Occhi: Azzurri
Capelli: Rossi
Data di Nascita: 7 Gennaio 1807
Luogo di Nascita: Sparta (Grecia)
Luogo di Residenza: Sparta
Quartiere di Residenza: Accampamento dei Kléftes(Taigeto)
Gli amici/parenti la chiamano: Sthàsja
John la chiama: Stacey
Occupazione: Dispensatrice di Sogni
Altera. Così era lei. Bella da spezzare il cuore con un sorriso, bella e perduta. Era nata a Sparta, nei suoi occhi i suoi genitori avevano visto gli occhi di Afrodite, nei suoi capelli il fuoco di Prometeo. La notte tra il 26 e il 27 febbraio 1821, l’anno delle insurrezioni, il primo anno della Guerra d’Indipendenza, l’anno della morte di Napoleone, il suo sogno aveva aperto gli occhi. Era nato il suo bambino. Geórgos Zemekis, il suo piccolo Georgie. Suo padre, John Arthur Gibson, era il più grande dei Capitani. Anasthàsja era felice. Le lame risplendevano del sangue dei nemici, la gente moriva, oltre i riflessi delle acque dell’Eurota, ma Anasthàsja non se ne accorgeva. Lei aveva un figlio. Lei, la più bella delle belle, non era mai stata tanto felice. Ad Anasthàsja non importava delle sofferenze, del dolore, della morte degli altri. Anasthàsja era madre! Anasthàsja era bella, bella da morire. Ma non c’era di veramente buono e gentile in lei.
(dal capitolo 36)
Canzone che Martina attribuisce a questo personaggio: Fata; Roberto Vecchioni - Sexy Sadie - The Beatles; Bella Senz'Anima - Riccardo Cocciante.


John Arthur Gibson


Occhi: Azzurri
Capelli: Neri
Data di Nascita: 30 Gennaio 1800
Luogo di Nascita: Liverpool (Regno Unito)
Luogo di Residenza: Liverpool
Quartiere di Residenza: Wavertree(Liverpool)
Gli amici/parenti lo chiamano: Jo o Art
Anasthàsja lo chiama: Joey
I suoi marinai lo chiamano: Johnny
Occupazione: Capitano di marina
Anasthàsja piangeva, piangeva e piangeva.
Il marito le accarezzava i capelli, tentava invano di placarla, con la voce e con il cuore.
-Stacey, Stacey, ragiona-
Ragiona, già.
Ma c'era davvero qualcuno in grado di ragionare, tra i due?
John Arthur le prese il volto tra le mani.
-George è innocente, Stacey. In un modo o in un altro lo faremo uscire da lì. Georgie tornerà con noi-
Punto.
Perché quando il Capitano Gibson decideva qualcosa, quel qualcosa non poteva fare a meno di divenire realtà.

(dal capitolo 27)
Canzone che Martina attribuisce a questo personaggio: A Hard Day's Night - The Beatles; Dancing With The Moonlight Knight - Genesis.

Cynthia Fàilynn Gibson

Occhi: Azzurri
Capelli: Neri
Data di Nascita: 8 Dicembre 1823
Luogo di Nascita: Sparta
Luogo di Residenza: Atene (Residenza Parmenàs)
Occupazione: Studentessa
"Tu non sei degna dei Kléftes".
Parole che le erano costate una vita.
Era andata a studiare ad Atene, Cynthia.
Nessuna donna dell'accampamento l'aveva fatto.
Lei sì, e per una volta, la prima volta, aveva sorpreso tutti.
Troppo fragile, Cynthia.
Eppure restava sua sorella.
E di questo George sarebbe sempre stato fiero.
(dal capitolo 35)
Canzone che Martina attribuisce a questo personaggio: Solo - Claudio Baglioni; La ragazza col filo d'argento - Roberto Vecchioni; Piccola Città - Francesco Guccini.

Nikolaj Vasil'evič Zirovskij


Occhi: Grigiazzurri
Capelli: Biondi
Data di Nascita: 5 Maggio 1813
Data di Morte: 2 Aprile 1836
Luogo di Nascita: Varsavia (Polonia)
Luogo di Residenza: Varsavia(infanzia)/Krasnojarsk (Russia Siberiana)/Liverpool
Luogo di Morte: Liverpool (Regno Unito)
Quartiere di Residenza: Żoliborz (Varsavia)/Forradalom-Accampamento degli Ussari(Krasnojarsk)/Wavertree(Liverpool)
Gli amici/parenti lo chiamavano: Niko o Nikolen'ka
Sua madre lo chiamava: Nikoluška
Suo padre lo chiamava: Kolja
Occupazione: Soldato(Ussaro)/Pianista
Nikolaj, lui sì, sapeva vedere l'azzurro negli occhi di Natal'ja.
Poi un giorno aveva cominciato a vedere tutto grigio.
Non il grigio delicato degli occhi di sua cugina, però.

Un grigio pesante, volgare, opprimente.

La dolcezza della musica non esisteva più.
Non lo vedeva più, il dolce cielo di Varsavia, l'azzurra e luminosa capitale polacca, la città dove aveva trascorso un'infanzia da principino, tra le argentee note di Anželika e le coccole della mamma.

Non li vedeva più, i colori delle nuvole e dell'arcobaleno.

Non ci vedeva più.
E il 2 Aprile 1836 se n'era andato, Nikolaj.
Che codardo era stato.

Per tutti i giorni che Natal'ja aveva passato tra gli ussari con lui, per tutte le volte in cui Anželika l'aveva pregato di riprendere a suonare il pianoforte e per quelle dolorosissime in cui aveva rifiutato.

Per tutte le notti in cui aveva invidiato la luna.
Per tutta la vita in cui gli era mancato il coraggio.

Sarebbe stato troppo difficile spiegare che per tutti il cielo era azzurro e lui lo vedeva grigio.

(dal capitolo 54)
Canzoni che Martina attribuisce a questo personaggio: No Words - Paul McCartney & Wings; Ragazzo dell'Europa - Gianna Nannini; Blue Turns To Grey - The Rolling Stones; No Son of Mine - Genesis.

Anželika Andreevna Valadìna


Occhi: Verdazzurri
Capelli: Rossi
Data di Nascita: 8 Aprile 1784
Luogo di Nascita: Krasnojarsk (Russia Siberiana)
Luogo di Residenza: Varsavia (Polonia)/Krasnojarsk
Quartiere di Residenza: Żoliborz (Varsavia)/Forradalom (Krasnojarsk)
Gli amici/parenti la chiamano: Anželi
Occupazione: Pianista

Natal'ja si era tuffata tra le braccia di Anželika, le aveva scompigliato i capelli rossi e profumati di panna fresca.
Aveva guardato la nonna nell'acquamarina limpida dei suoi occhi.
-Nonna, a te piace viaggiare?-
La donna spalancò gli occhi.
-Quando avevo la tua età andavo spesso in Austria. Sai, eravamo alleati con Mack e Weyrother, allora, ai tempi della Campagna di Napoleone-
Luce conosceva bene sia Karl Mack von Leiberich, lo sfortunato feldmaresciallo austriaco della Battaglia di Ulma, sia Franz von Weyrother, la mente illuminata che nel 1805 aveva offerto Austerlitz su un piatto d'argento a quelli che la piccola anglo-siberiana si ostinava a chiamare i francesi del nano.
-Quei due idioti?- commentò, piatta.
Aveva sentito così tante volte il nonno gridare le peggiori infamie su quei due!
In quei casi Anželika era solita tirare una manciata di neve fresca in faccia al marito, ricordandogli che la Russia era ancora dei Russi, che il loro arcivenerato Kutuzov aveva dato un bel calcio a quel presuntuoso di Bonaparte e che tra le due volte nella polvere citate da quel simpatico italiano di cui non ricordava mai il nome c'era anche il giorno in cui l'apparentemente invincibile Imperatore francese si era seduto di fronte al Cremlino in fiamme.
Adorava sua nonna, in quei momenti.
-Sei proprio come tuo nonno. E a mio parere faresti meglio a stare zitta, considerando quanto ti piacevano le gite a Vienna e a Salisburgo-
(dal capitolo 41)
Canzone che Martina attribuisce a questo personaggio: L'Alba - Riccardo Cocciante

Iljodor Nikolaevič Zirovskij



Occhi: Grigi
Capelli: Biondi
Data di Nascita: 26 Giugno 1783
Luogo di Nascita: Forte Korjakovskij - attuale Pavlodar (Kazakistan)
Luogo di Residenza: Krasnojarsk (Russia Siberiana)
Quartiere di Residenza: Forradalom (Krasnojarsk)
Gli amici/parenti lo chiamano: Il'ja
Occupazione: Generale cosacco
La sua vita era lì.
Sul campo di battaglia, tra i suoi compagni che l'inneggiavano fieri, tra i proiettili che sfrecciavano dai fucili dei Francesi, sulle uniformi macchiate di sangue, in mezzo al popolo, per la libertà del proprio Paese.

Ricordava Forte Korjakovskij, Il'ja, il piccolo insediamento cosacco in cui era nato.

Ricordava le mani di sua madre, la coraggiosa Haalyna Vladimirovna, che era morta durante la Battaglia di Ulma, colpevole solo di aver amato il marito al punto di seguirlo in quella guerra che sembrava non finire mai.

Ricordava gli urli di guerra di quel Bonaparte, vanaglorioso francese convinto di poter prendere per il naso anche il grande Kutuzov.
Ricordava e non ci credeva, dovevano strappargli Austerlitz, era per questo ch'erano lì.
(dal capitolo 76)
Canzoni che Martina attribuisce a questo personaggio: Il Cielo di Austerlitz - Roberto Vecchioni; Misery - The Beatles


Feri Desztor


Occhi: Neri
Capelli: Neri
Data di Nascita: 17 Marzo 1819
Luogo di Nascita: Budapest (Ungheria)
Luogo di Residenza: Krasnojarsk(Russia Siberiana)
Quartiere di Residenza: Via Rákos numero 4 (Budapest)/Forradalom(Krasnojarsk)
Gli amici lo chiamano: Il Terribile Feri Desztor
I parenti lo chiamano: Disgraziato
Occupazione: Gestore di bancarella al mercato/Capitano di Forradalom
Feri aveva diciannove anni e, gigantesco e prestante com'era, rappresentava il leader e al tempo stesso il terrore di Forradalom, il quartiere storico della periferia di Krasnojarsk.
Anche a Budapest era stato così, ma la bella capitale ungherese non aveva fatto in tempo ad assistere alla gloria e allo splendore di quel suo figlio tanto promettente.
Natal'ja non ricordava bene come fosse successo, ma era sempre stata la protetta di Feri Desztor.
(dal capitolo 42)
Canzone che Martina attribuisce a questo personaggio: New Faces - The Rolling Stones; Condannati, I Clandestini e La Corte dei Miracoli - Riccardo Cocciante - Notre Dame de Paris; I Lupi Attorno A Noi - Charles Aznavour.
Jànos Desztor


Occhi: Neri
Capelli: Neri
Data di Nascita: 18 Dicembre 1823
Luogo di Nascita: Budapest (Ungheria)
Luogo di Residenza: Krasnojarsk (Russia Siberiana)
Quartiere di Residenza: Via Rákos numero 4 (Budapest)/Forradalom(Krasnojarsk)
Gli amici/parenti lo chiamano: Szöcske (ungherese: cavalletta)
Occupazione: Gestore di bancarella al mercato/contrabbandiere di cavallette
Quindici anni da compiere e un meraviglioso sorriso da avanzo di galera.
Jànos Desztor vendeva cavallette di qualità.
I suoi fratelli lo chiamavano Szöcske, cavalletta, proprio a causa di questo suo commercio.
Fu proprio in quel momento, mentre ricordava e sorrideva al cielo con aria particolarmente persa, stravaccato in un angolo del marciapiede, con una copia del giornale del giorno prima sotto la testa e una sigaretta tra le labbra, che la voce di Feri lo strappò brutalmente alla malinconica dolcezza dei suoi pensieri.
-Szöcske! Corri, c'è una cliente!-
Jànos balzò in piedi, si passò una mano tra i capelli nerissimi e sgranò gli occhi stanchi di fronte al sorriso angelico della cliente.
Sputò la sigaretta tanto rapidamente da farsi andare di traverso la saliva, fece un passo avanti e ci inciampò sopra, rovinando ai piedi di Feri, che gli rivolse lo stesso identico sguardo che sfoderava quando stava per annodare la clavicola a qualcuno.
-Fratellino?-
-Arrrr...iiiivo!- biascicò, aggrappandosi al braccio del fratello per rialzarsi, mentre l'ipotetica cliente lo guardava sorridendo.
-Maledetta peste! Levati, Szöcske!- ringhiò Feri, sempre più nervoso.
Szöcske Desztor annuì, ricomponendosi in fretta.
-La signorina si chiama?-
Lo sguardo della giovane si addolcì.
Aveva gli occhi chiari, di un bel grigioverde vivace e lucente.
-Viktor'ja Vassilenka-
Jànos le rivolse un largo sorriso, porgendole allegramente la mano.
-Io sono Feri e ho diciannove anni-
Scrollò le spalle, percorrendo il viso della ragazza con i begli occhi ridenti.
Dall'alto del suo metro e sessantuno, alle cosiddette gambe corte era abituato.
Ah, le care, vecchie bugie di Szöcske Desztor!
(dal capitolo 76)
Canzone che Martina attribuisce a questo personaggio: Getting Better - The Beatles; Sogna, ragazzo sogna - Roberto Vecchioni; Un altro giorno è andato - Francesco Guccini.

Hajnalka Desztor

Occhi: Azzurri
Capelli: Neri
Data di Nascita: 27 Marzo 1825
Luogo di Nascita: Budapest (Ungheria)
Luogo di Residenza: Krasnojarsk (Russia Siberiana)
Quartiere di Residenza: Via Rákos numero 4 (Budapest)/Forradalom(Krasnojarsk)
Gli amici/parenti la chiamano: Hajnal
Occupazione: Apprendista gestrice di bancarella al mercato/Aspirante attrice di teatro
Ad Hajnalka, se non eri sua amica, ti sembrava di fare un torto.
Perché non si poteva non essere amica di Hajnalka.
Perché non si poteva non sorridere quando sorrideva lei.
Era la migliore di tutte, Hajnalka.
Aveva una selvaggia chioma bruna che superava la vita di una spanna abbondante, due occhi che sembravano fatti d'acqua dolce e un coraggio da eroina.
Era dolce, terribilmente.
Gentile.
Alla mano.
Cercavano sempre di proteggerla, Natal'ja ed Helga, ma la verità era che era Hajnalka a proteggere loro.
Lo faceva da lontano.
Lo faceva tra le righe.
Ma lo faceva, ed era un'amica meravigliosa.
(dal capitolo 32)
Canzoni che Martina attribuisce a questo personaggio: Lady Madonna - The Beatles; La Musica Senza Perché - Riccardo Cocciante

Helga Björg Dolokova


Occhi: Azzurri
Capelli: Biondi
Data di Nascita: 27 Gennaio 1823
Luogo di Nascita: Krasnojarsk (Russia Siberiana)
Luogo di Residenza: Krasnojarsk
Quartiere di Residenza: Forradalom (Krasnojarsk)
Gli amici/parenti la chiamano: Hell
Occupazione: Aspirante autrice di feuilletons
Helga era quella che molti avrebbero definito una smorfiosa.
Con quei capelli che avevano l'esatto colore della crema pasticcera e gli occhi che parevano pasta di lapislazzulo, si aggiudicava una bellezza fuori dal comune e un fascino senza dubbio implementato dalla pelle candida e dai vestiti dai colori sgargianti che indossava.
Helga sapeva essere la sua peggior nemica, a volte.
Era presuntuosa, vanitosa ed egocentrica.
Quella sua dolcezza era solo una maschera.
Era la peggiore di tutte.
Era la migliore amica di Natal'ja.
Perché sapeva come prenderla.
Perché sapeva come sfidarla e, soprattutto...sapeva come distruggerla.
(dal capitolo 32)
Canzone che Martina attribuisce a questo personaggio: Cecilia - Simon & Garfunkel

Aisling Willow




Occhi: Verdi
Capelli: Biondi
Data di Nascita: 17 Luglio 1824
Luogo di Residenza: Liverpool (Regno Unito)
Quartiere di Residenza: Wavertree
Gli amici/parenti la chiamano: Lilì
Suo padre la chiama: Feyza Aylin
Occupazione: Aspirante interprete
Rajit Willow, anglo-turco dagli occhi azzurri e dal sorriso ingannatore, era tornato ad Ankara nel 1832, e Regan Amelie Wilson non l’aveva più visto.
Del suo passaggio aveva lasciato un gatto zoppo e un paio di scarpe dalla suola consumata.
Aisling, la sua unica figlia, ogni sera abbracciava il gatto, Sbam -Regan aveva provato tante volte a spiegarle che non era un nome turco, ma la bambina non l’aveva voluta ascoltare- e quando usciva insisteva sempre per indossare le sue scarpe, che lei affettuosamente chiamava “le vecchie scarpe di papà”.
Raijt parlava il turco di Ankara, ma era stato per anni al servizio dell'Impero Ottomano, conosceva anche l'arabo e il greco.
Ad Aisling, in Turchia, erano rimasti i nonni, oltre a quel padre ormai non più rintracciabile.
Questi ultimi le stavano insegnando, poco a poco, quelle polverose, passionali lingue mediorientali.
(dal capitolo 9)
Canzone che Martina attribuisce a questo personaggio: Mother - John Lennon


Brianne Beckett


Occhi: Verdi
Capelli: Rossi
Data di Nascita: 24 Febbraio 1823
Luogo di Nascita: Gretna Green (Scozia)
Luogo di Residenza: Liverpool
Quartiere di Residenza: Speke (Liverpool)
Gli amici/parenti la chiamano: Bee
Occupazione: Aspirante insegnante di trigonometria
-Ma va, Lilì-
-Giuro sui miei capelli che è vero-
-Tanto poi ricrescono-
Brianne rideva, rideva fino alle lacrime, con i capelli rossi che le andavano sugli occhi e la spremuta rovinosamente rovesciata sul vestito.
Quando riprese il controllo, Aisling e Natal'ja la guardavano immobili, ad occhi sbarrati.
-Natalys è particolarmente antipatica, oggi- fu l’uscita della giovane Beckett, finalmente ricomposta.
-Eccome- le diede man forte Aisling, lanciando uno sguardo obliquo a Natal'ja, silente sul bordo del suo gradino.
(dal capitolo 9)
Canzone che Martina attribuisce a questo personaggio: Ticket to Ride - The Beatles

Leonida Zemekis


Occhi: Neri
Capelli: Neri
Data di Nascita: 20 Ottobre 1790
Luogo di Nascita: Sparta
Luogo di Residenza: Sparta
Quartiere di Residenza: Accampamento dei Kléftes (Taigeto)
Occupazione: Capo dei briganti
Adrasteia si voltò e un attimo dopo già lo stupore era padrone del suo volto, paralizzandola nell'atto di volgere lo sguardo all'inizio della strada.
-Il grande Leonida è tra noi!- gridò e, dopo le sue parole, nella strada deserta rieccheggiarono soltanto il pianto disperato della Contessina e i lamenti occasionali di Doukas, ancora vivo.
L'intera banda taceva, immobile.
I capelli neri ondeggianti e gli occhi luccicanti come dracme d'argento, le cicatrici che spiccavano come ricami di luce sulle possenti braccia scurite dal sole.
-Voi- Leonida indicò i due Dounas, Talia e Adrasteia -Vi siete divertiti abbastanza-
Alle sue spalle apparvero Creskles e Kyriakos.
-Tu, Dekapolites, affiancati a Rouvas. Mycenae Kallìsti, guardami. Questa si chiama fine e ti riguarda particolarmente da vicino-
I quattro Kléftes a piedi, eccetto Dekapolites, trattennero il respiro.
Leonida stava disponendo i suoi uomini esattamente come nella Battaglia di Navarino.
Avevano decimato l'Armata Turca, in quel modo.
20 Ottobre 1827, trentasettesimo compleanno di Leonida.
Era diventato l'eroe del Peloponneso, quel giorno.
Dekapolites si sistemò alla destra di Creskles, il quale, sporgendosi dal cavallo, gli battè una pacca sulla spalla.
Poi Leonida frustò il suo cavallo, che partì al galoppo in direzione della Contessina.
In pochi secondi le si affiancò, strattonandola per una spalla.
-I soldi, Mycenae. Cosa c'è di poco chiaro in quello che ho detto, tesoruccio? I SOLDI!-
Con grande orrore di Mycenae, le dita di Leonida sfiorarono il cane della pistola che teneva appoggiata sulla fronte della ragazza.
-Sono...là dentro- sussurrò tra le lacrime, indicando una sacca di stoffa scura ben mimetizzata con i sedili della carrozza.
-Molto bene, cara. La nostra chiacchierata finisce qui- decretò compiaciuto, scendendo dal cavallo per dare inizio al saccheggio.
(dal capitolo 23)
Canzone che Martina attribuisce a questo personaggio: Play With Fire - The Rolling Stones; Dieci Ragazze per Me - Lucio Battisti; Il Vecchio e il Bambino - Francesco Guccini.



Talia Azvalakos

Occhi: Azzurri
Capelli: Castani
Data di Nascita: 1 Gennaio 1794
Luogo di Nascita: Sparta (Grecia)
Luogo di Residenza: Sparta
Quartiere di Residenza: Accampamento dei Kléftes (Taigeto)
Leonida la chiama: Talì
Occupazione: Brigantessa
Doukas seguì con apprensione la mano di Talia fare un cenno in direzione degli alberi alle loro spalle. Poi uno sparo gli tagliò l'aria talmente vicino da fargli mancare il respiro. Dekapolites Calie, quarantanove anni, lunghi capelli grigi e ricci e una mira infallibile. Ancora prima che Doukas avanzasse di un solo passo, aveva già raggiunto la Contessina e circondatole il collo con la gigantesca mano. -Kléftis!- gridò Talia, spalancando gli occhi -Al ladro!- -State tranquilla, signora... Contessina!- Doukas si muoveva impacciato tra le due donne appena incontrate e la sua Contessina, tentando di raccapezzarsi. -State tranquillo anche voi- e così dicendo Talia estrasse con rapidità impressionante un pugnale da una tasca della sottogonna e lo affondò nella spalla destra dell'uomo, fino all'elsa. Talia si avvicinò alla ragazza e, sollevandole il viso con una mano, le sorrise con sprezzante ironia. -Dove sono i soldi, piccina?- -No...soldi...mai...- Talia scoppiò a ridere, gettando la testa all'indietro. -Caruccia! Sei proprio un tesoro, Mycenae. Peccato per tuo zio. Gli mancherai-
(dal capitolo 23)
Canzone che Martina attribuisce a questo personaggio: Milady - Roberto Vecchioni.
Dekapolites Calie



Occhi: Grigi
Capelli: Neri
Data di Nascita: 13 Agosto 1786
Luogo di Nascita: Sparta
Luogo di Residenza: Sparta
Quartiere di Residenza: Accampamento dei Kléftes (Taigeto)
Occupazione: Brigante
Dekapolites Calie, quarantanove anni, lunghi capelli grigi e ricci e una mira infallibile. Ancora prima che Doukas avanzasse di un solo passo, aveva già raggiunto la Contessina e circondatole il collo con la gigantesca mano. -Kléftis!- gridò Talia, spalancando gli occhi -Al ladro!- -State tranquilla, signora... Contessina!- Doukas si muoveva impacciato tra le due donne appena incontrate e la sua Contessina, tentando di raccapezzarsi. -State tranquillo anche voi- e così dicendo Talia estrasse con rapidità impressionante un pugnale da una tasca della sottogonna e lo affondò nella spalla destra dell'uomo, fino all'elsa. La Contessina gridò. -Doukas! Al ladro!- -Grida, grida che ti passa- la schernì Dekapolites, che nel frattempo l'aveva raggiunta, passandole la lama di uno xiphos sotto la gola -Grida che non sarai l'unica, a passare- Mycenae Kallìsti sbarrò gli occhi, ormai rossi e gonfi per le lacrime trattenute. -Mio zio...in prigione...voi...- mormorò, la voce ormai ridotta ad un sussurro. -Niente minacce, bellina. Sono un po' fuori luogo, non trovi?-
(dal capitolo 23)
Canzone che Martina attribuisce a questo personaggio: L'Onda - Riccardo Cocciante
Theodorakis Leonidas Dounas

Occhi: Verdi
Capelli: Biondi
Data di Nascita: 15 Marzo 1815
Luogo di Nascita: Sparta
Luogo di Residenza: Sparta
Quartiere di Residenza: Accampamento dei Kléftes (Taigeto)
Occupazione: Brigante
E poi pensi che a Sparta le lacrime non sono permesse. E pensi che la Moira già s'appresta a seguirti, ombra di cenere densa sulla fulgente gioventù. La vedi, adesso? E pensi che alla fine, d'Achille, indossavi solo le armi. E la splendida chioma, l'occhio ferino, la freccia nel tallone, le avevi anche tu. E poi scopri di essere sempre stato solo Patroclo. Del Pelìde piè veloce hai l'orgoglio, Theodorakis Dounas. E del figliol di Menezio il corpo, tradito da vulnerabile oltraggio.
Il tuo sanguinante cuore di guerriero non lo svelerai mai.
E poi corri a indossare le armi di Achille.
Non cambierai mai.
Patroclo.
(dal capitolo 75)


Dimokratìa Hélèna Dounas

Occhi: Grigioverdi
Capelli: Biondi
Data di Nascita: 28 Novembre 1827
Luogo di Nascita: Sparta
Luogo di Residenza: Sparta
Quartiere di Residenza: Accampamento dei Kléftes (Taigeto)
Gli amici/parenti la chiamano: Tìa
Occupazione: Brigantessa
-Forse, Tìa. Ma nel frattempo noi siamo amici?-
-Ti piacerebbe?-
Geórgos la guardò.
-Abbastanza-

Chiuse gli occhi, poi li riaprì. Sorrise.
-Abbastanza-

Taceva, Tìa.
Non era da lei, troppo silenzio.
Dimokratìa non taceva mai.
-E adesso cosa mi dici?-
Lo guardò negli occhi. Geórgos non lo sapeva, come faceva, a guardarlo così. -Ubi tu Gaius, ego Gaia-
Geórgos sgranò gli occhi, inevitabilmente.

-Cosa?-
-Sai?- Dimokratìa fece un passo in avanti, e non appena gli fu abbastanza vicina gli prese un orecchio tra le dita, tirandolo un pochino.
-Sei un po’ stupido come amico-

Si voltò e corse via.
(dal capitolo 34)
Canzone che Martina attribuisce a questo personaggio: Strada Facendo - Claudio Baglioni
Dejanira Zemekis


Occhi: Azzurri
Capelli: Neri
Data di Nascita: 20 Ottobre 1805
Luogo di Nascita: Sparta
Luogo di Residenza: Sparta (Bosco)
Gli amici/parenti la chiamano: Jani
Occupazione: Sacerdotessa di Artemide
Il bosco. Che il cielo splendesse, che infuriassero i lampi, lei viveva nel bosco. Il fiume. Con le mani bagnate dalle acque del fiume. La giovane donna accarezzò con dolcezza il suo serpente. Le belle striature turchesi dell'animale ricordavano i suoi occhi. Occhi di tenebra azzurra. Infiniti, sfrontati. Dejanira teneva un serpente nella scollatura, come le Sacerdotesse di Apollo. Eppure, lei era devota ad Ecate, la Luna. Ad Artemide Orthia, della quale visitava il tempio ogni mattina. Figlia del bosco, creatura del bosco, delle selve e del verde di Sparta.
(dal capitolo 38)
Canzoni che Martina attribuisce a questo personaggio: For No One - The Beatles; Sulle Labbra e nel Pensiero - Riccardo Cocciante

Ariadni Zemekis


Occhi: Azzurri
Capelli: Biondi
Data di Nascita: 8 Luglio 1806
Luogo di Nascita: Sparta
Luogo di Residenza: Sparta (Città)
Gli amici/parenti la chiamano: Dnì
Occupazione: Pittrice
Ariadni era la bionda, quella col nome impronunciabile; quella che tutti chiamavano Dnì, quella dai riccioli ribelli, quella gentile e perspicace. Ariadni era una vera Greca, una figlia di cui vantarsi, ma non troppo. Ariadni dipingeva, ma era imprevedibile. Lo è ancora adesso. Ariadni era irraggiungibile, ma adesso lo è di più. Ariadni era come il mare. Ariadni dipingeva quello che i suoi occhi vedevano, ma c’erano persone che non vedevano i suoi occhi.
(dal capitolo 36)Canzoni che Martina attribuisce a questo personaggio: Blinded by Rainbows - The Rolling Stones; Behind That Locked Door - George Harrison

Thera Zemekis

Occhi: Verdi
Capelli: Castani
Data di Nascita: 14 Settembre 1829
Luogo di Nascita: Sparta
Luogo di Residenza: Sparta (Città)
Il vero nome di Thera era Gea. Era l'anima della bruna terra ellena, lei. Era la terra, solida e disarmante, Thera Zemekis. Amava il porto, Thera. Amava vedere le navi partire, ma soprattutto amava vederle tornare. Che fossero le stesse, però. Non le piaceva l'idea che partissero e non tornassero più, le faceva paura. Anche se lei, per i suoi nove anni, era una bambina straordinariamente indipendente. Thera Zemekis era l'Indipendenza Greca. Era nata il 14 Settembre 1829, e davvero Leonida non avrebbe potuto chiedere un regalo migliore. Era nata il giorno del Trattato di Adrianopoli, il giorno della libertà.
(dal capitolo 39)
Canzone che Martina attribuisce a questo personaggio: Tu Italia - Riccardo Cocciante

Eiréne Calie

Occhi: Grigi
Capelli: Biondi
Data di Nascita: 1 Maggio 1801
Luogo di Nascita: Sparta
Luogo di Residenza: Sparta
Quartiere di Residenza: Accampamento dei Kléftes (Taigeto)
Non l'avevano mai lasciata parlare abbastanza, Eiréne.
Nata già donna, bambina troppo bella, amante troppo desiderata.
Poi era arrivato lui, Meletis.
Che voleva sposarla e non accettava obiezioni.

E nessuno aveva mai osato obiettare, con lui.
Suo padre poteva.
Suo padre era Dekapolites Calie, eterno secondo ma primo nel difendere l'onore della propria famiglia.

Non l'aveva difesa.
Lo riteneva giusto, forse.
Gli andava bene così.
A lei no.

Ma lei non poteva.
Lei non doveva.
Ma se avesse potuto, lei... Niente.
In quella vita non avrebbe mai potuto fare niente.

"Eiréne piange sempre", dicevano in città.

Ma che provassero a ridere loro!
Ma che ci provassero loro, a sforzarsi di amare il proprio marito e ritrovarsi odiate, respinte, reiette!
Ma che ci provassero loro, ad uccidere la propria figlia per disperazione!Ma che ci provassero loro, a calpestare il proprio cuore perché, tanto, lo facevano tutti!
(dal capitolo 83)
Canzone che Martina attribuisce a questo personaggio: Anima Mia - I Cugini di Campagna
Viktor Zarkhov

Occhi: Grigi
Capelli: Neri
Data di Nascita: 14 Dicembre 1805
Luogo di Nascita: Tomsk (Russia Siberiana)
Luogo di Residenza: Omsk (Russia Siberiana)
Occupazione: Carceriere della Mërtvogo Doma
Alzò lo sguardo, Natal'ja.
Scrutò con i suoi vispi occhioni grigiazzurri l'espressione corrucciata dell'uomo che le si era parato davanti, si chiese chi fosse e quando fosse arrivato.

Non le piaceva il suo sguardo.
Era altezzoso, cattivo.

Non come quello del suo brigante.

-Abbassa lo sguardo, ragazzina-

Perché avrebbe dovuto?

Era curiosa, lei, lo era sempre stata...cos'era questa storia di abbassare lo sguardo?
Non le piaceva, no, non le piaceva affatto. Era una crudeltà fatta e finita!
-Scusate, ma siete stato voi a guardarmi per primo-

Era così. Non diceva bugie, lei! Anželika ripeteva sempre che le bugie facevano male alle persone e lei non voleva fare male a nessuno.

Non lo vide arrivare, lo schiaffo, ma lo sentì freddo e violento come un fiume di sangue sulla neve.

(dal capitolo 57)
-Tocca a te, ragazzina!-

Natal'ja si fece coraggio.
Era una ragazza di Forradalom e doveva portare alto il nome del suo quartiere.
Non poteva lasciarsi intimidire da un energumeno arrogante come quel bisonte baffuto che si era azzardato a metterle le mani addosso.
Non poteva.

E così era lì che si svolgevano i famosi interrogatori della Mërtvogo Doma.
Tra quei quattro muri sudici impregnati di lacrime e sospiri di vite negate.
L'odore di sangue le faceva girare la testa.
Viktor Zarkhov, questo era il nome del bisonte baffuto, la aspettava sulla porta.
Non ne sarebbe uscita facilmente.
(dal capitolo 58)


Akakij Ul'janov


Occhi: Azzurri
Capelli: Neri
Data di Nascita: 19 Novembre 1815
Luogo di Nascita: Krasnojarsk (Russia Siberiana)
Luogo di Residenza: Krasnojarsk
Occupazione: Ussaro/Giornalista
Akakij ch'era nato in un quartiere residenziale per miracolo, Akakij che la Rivoluzione la vedeva in tutti gli specchi da quando era piccolo, da quando era ingenuo, Akakij che in quella Rivoluzione ritrovava un po' di quell'ingenuità, la teneva stretta per un po', finché l'Akakij bambino non si dissolveva nello specchio, sempre più lontano, sempre con meno voce in capitolo. (dal capitolo 98)