lunedì 28 novembre 2011

Ali in gabbia, occhi selvaggi - Capitolo 2

-Due-

Krasnojarsk, 12 Settembre 2011


Close your eyes and I'll kiss you
Tomorrow I'll miss you

Chiudi gli occhi e ti bacerò
Domani mi mancherai

(All my loving, The Beatles)

All my loving.
Sorrise, Natal'ja.
Gliel'aveva dedicata George, All my loving.
Aveva interrogazione di filosofia, Gee, quel giorno, ma il vizio di chiamarla da sotto il banco poco prima che il professore -lo presentiva- lo chiamasse a sua volta -e non al telefono, disgraziatamente- non gli sarebbe passato mai.
Fece per rispondere al cellulare, e per poco quest'ultimo non le cadde di mano.
-Cristo, Al, l'ha steso!-
-Jàn?-
-Feri è in Presidenza, che Jàn e Jàn!-
-E ti stupisci? Cioè, ti stupisci ancora?-
-E' in Presidenza è ha steso il Preside, è questo il punto-
-Ah...-
-Ah, appunto-
-Beh, ma gli passerà, no?-
-Cosa?- gridò Jànos Desztor, l'ungherese della porta accanto, esasperato.
-Il trauma cranico al Preside e l'ira funesta al Capitano-
-Impiccati, Al. E corri!-
Un mostro di coerenza come sempre, Jànos Desztor.

-E' un bravissimo ragazzo, garantisco io! Cerca sempre di non essere in galera, per il mio compleanno-
-Ma ha mandato in black-out l'intera scuola, e poi anche il Preside!-
-Eh, che ci volete fare, è un elettricista...-
Feri Desztor, diciassette anni, era un ragazzo decisamente poco pacifico.
Il temuto batterista - mezzo terrorista dei Forradalmi, i Rivoluzionari.
Ungherese fino allo sputo, e a sputi prendeva tutti gli altri, in genere.
A Natal'ja, non si sapeva con esattezza perché, un po' di bene lo voleva.
Un bene un po' burbero e rude, ma gliene voleva.
E lei lo recuperava sempre, in un modo o nell'altro, dai suoi guai e dalle sue ribellioni, anche solo per uno di quei sorrisi belli di rancore e di rivalsa, per quell'implicita, sconfinata ammirazione e adorazione che le lasciava decifrare solo strizzandole un occhio.
Era bello, Feri, ma le ragazze ci pensavano due volte, prima d'avvicinarsi a lui.
Sarà stato per le relativamente minacciose bacchette della batteria che teneva costantemente a portata di mano, sarà stato per quella pistola che pareva non scaricarsi mai da cui forse non si separava nemmeno nel sonno, che lui di soldi non ne aveva, ma quelli per pagarsi il porto d'armi -sempre che lo pagasse- li trovava sempre.
Secondo il personalissimo parere di Natal'ja, per stare al fianco di uno come lui, o perlomeno per non venirne calpestati, bastavano un po' di sfacciataggine e un po' di coraggio.
E per Natal'ja la Sfacciata, Natal'ja la Coraggiosa, la Sfuggente, come la chiamavano i ragazzi della banda, lo scricciolo biondo, la fatina delle steppe innevete, Feri Desztor era una sorta d'eroe.
Lo chiamavano il Capitano, Feri, e non perché fosse il leader della band: quello era Jànos e non si discuteva.
Feri era il Capitano perché era lui, perché aveva l'aria di quello che non si è sempre nelle condizioni di poter contraddire, anzi.
Molti lo chiamavano semplicemente "il bullo della scuola", ma non era mai stato visto a minacciare ragazzini indifesi con l'Einstand dei Ragazzi della via Pál, lui.
Semplicemente, Feri lasciava senza parole.

-Al'ja, la mia chitarra!-
-Al'ja, lo smalto!-
-Al'ja, se non ti sposti ti meno-
-Al'ja, mi sta bene?-
Natal'ja si fece sempre più pallida, sgranando gli occhi davanti allo sguardo fiammeggiante di Jànos e alle sue "amiche smaltate".
-Al'ja, Khristos, dì qualcosa-
-Sono seduta sulla tua chitarra, Jàn?-
Jànos strinse i denti, annuendo.
-Oh, non me n'ero accorta-
Il tredicenne ungherese sorrise con estrema dolcezza, la tipica dolcezza di chi si sta trattenendo a stento dallo spaccare la faccia al suo interlocutore.
-Adesso lo sai, quindi spostati-
Natal'ja parve meditare, o per meglio dire meditò finché Jànos non l'afferrò per i capelli, liberando finalmente la sua Fender.
-Jàn, mi spettini- sibilò la ragazzina, facendo sorridere -pur non avendone alcuna intenzione- con un'occhiataccia l'aitante chitarrista ungherese.
-Mai stata pettinata, tu- commentò Helga Björg Dolokova, inarcando un sopracciglio.
Natal'ja le fece la linguaccia, ignorandola.
-Taci, Hell. Hajnal, lo smalto ti sta benissimo, anche se non si vede-
-Come non si vede?!-
Hajnalka Desztor pareva essere stata messa davanti alla rivelazione del secolo.
-Vorrei ben dire, Al'ja, è trasparente- precisò Helga, sbattendo le ciglia.
Hajnalka tirò un sospiro di sollievo, Natal'ja fece un passo indietro, colpita.
-Ha un senso?-
Poi abbassò lo sguardo sulle sue unghie, non smaltate da una vita, se non addirittura da tutta la vita.
Sorrise, scompigliandosi un poco la chioma con le mani, sotto gli occhi severi di Helga.
-No, decisamente, è lo smalto in sé a non avere un senso-
Hajnalka la guardò delusa, rimirandosi le unghie con molto meno entusiasmo di poco prima.
-Non farti problemi, Hajnal, è proprio il rapporto Al'ja - smalto ad essere difettoso. Ricordi? L'ultima volta ch'è venuto George ha passato la notte ad intrecciarsi i capelli -con le corde della chitarra di Jàn, ma questo è un dettaglio-, ed avendo finito la lacca...-
-Pensavo che fosse la stessa cosa!-
-Già...-
-Ehi, ehi, Hell, lascia stare la mia Al'ja. Lei sta bene anche senza contralto, guarda che arcobaleno di streghetta abbiamo qui! Una via di mezzo tra She's a Rainbow e Ruby Tuesday, non so se mi spiego-
La disordinata biondina sorrise a Jànos, che le unghie se le consumava sulle corde della chitarra, scrollando le spalle.
-Sentito?-
-Meno vanterie e più smalto, Al-
Jànos sospirò, scrutando con curiosità la pseudo - principessina islandese che si trovava davanti, che arrossì furiosamente, infuriandosi nel vero senso della parola.
Infatti fece cadere la boccetta dello smalto sui plettri di Jàn, che lanciò un grido altissimo.
Quando si riebbe respirò profondamente, passandosi una mano tra i capelli e fulminando nuovamente la Dolokova, dopodiché si rivolse ad Al'ja.
-Mandala al diavolo, ogni tanto, pavoncello-
-E se ricominciassimo da capo?-

Era il 12 Settembre 2011, ma il primo giorno di scuola era saltato causa bufera di neve.
Per tutti meno che per Feri, dato che l'Istituto per Elettricisti "se ne infischiava, della neve", sebbene "il diritto di arrogarsi tale diritto" non si capiva bene chi gliel'avesse dato.
Così eran finiti lì, nella camera dei fratelli Desztor, tra boccette di smalto, piastre per capelli, nastri, tastiere, batterie e chitarre elettriche, a sorridersi e a litigare come in fondo avevano sempre fatto.
Natal'ja aveva pensato bene di placare gli animi accendendo il computer, pregando che almeno uno dei loro amici di penna greci -leggasi il suo amico non solo di penna greco- fosse in linea.
-Non abbiamo ancora risparmiato abbastanza per la webcam, vero?- domandò un po' tristemente.
-No, e per quel giorno dovrai mettere lo smalto!- gridò Helga, ricambiando la sua precedente linguaccia.
Geó̱rgos Zemekis o' Spartiáti̱s 1996 - In linea.
Natal'ja Zirovskaja Sibirskiĭ 2000 - In linea.
-Cielo!-
Al grido di Natal'ja le tre pesti accorsero, interrompendo qualsiasi altra pseudo - produttiva attività.
Poi, in religioso silenzio, si sistemarono intorno alla scrivania, gli occhi sullo schermo, le dita incrociate.
Al'ja: Dó̱bryj Djen'...
Gee: Kaliméra!
-Come cavolo scrive?!- protestò Helga, allungando il collo verso il piccolo computer bianco.
-E' greco, Hell-
-Che c'è, Al, i Russi ti facevano schifo?-
-Ma lui è...-
-Un porco, ecco cos'è- l'interruppe Hajnalka, che l'aveva capito dallo sguardo ballerino del ragazzo l'unica volta che l'aveva incontrato.
-Ma no, è così... Avete presente Dostoevskij? Avete presente Raskòlnikov?-
-Cavolo, bel paragone!-
-Ma io...-
-Ma tu, ma lui, ma l'idiozia di entrambi!- cantilenò Helga, facendo ridere Jànos.
-Mica male, dai, la principessina di Reykjavík!-
Al'ja: L'interrogazione?
Gee: Mi hanno sospeso prima...
Natal'ja si voltò verso le amiche -e Jànos-, raggiante.
-Visto? E' spiritoso...-
Gee: Meletis, ch'era interrogato prima di me, ha definito Omero "quella vecchia talpa", ed io temo di...non averci visto più.
In tutti i sensi, dato che son praticamente passato sul cadavere di Anthea.
Ma insomma... A me stanno simpatiche, le talpe. Che diamine, le capisco! E poi non son costrette a portare gli occhiali, loro.
E Omero... Omero è un grande, non si discute.
-Era- rifletté Helga, aggrottando la fronte.
-Lui non lo sa!- gridò Natal'ja, accorgendosi dopo dell'ambiguità dell'affermazione.
-Voglio dire che si rifiuta di realizzarlo. Nella sua realtà immaginaria Omero è arzillo come un petauro dello zucchero. E' il suo idolo. Semplice, no?-
Al'ja: Ma Meletis...il padre di Theo?
E' ripetente anche lui? Ma diamine, ha trentasette anni...
Gee: Meletis il mio compagno di classe, quello grasso, basso, tarchiato e con i baffi.
Al'ja: Accidenti!
Gee: Le ragazze lo definiscono "uno schianto", per la verità.
Ma un giorno io lo chiudo nel registro, parola d'onore.
Al'ja: Oh...
-E' solo un pochino...originale!- lo difese Natal'ja, gelando sul nascere qualsiasi adorabile osservazione di Helga.
-Esaltato?-
-Patologico?-
-Psichiatricamente perseguibile?-
-Semplicemente deficiente?-
-Straordinario, no?-
-Non sai quanto, Al, non sai quanto-
Helga sospirò gravemente, alle parole di Jànos.
-Oh, non lo sa davvero!-
-E' così bello, lui...-
-Dio, Al'ja, no!- gridò Jànos, lanciandosi sulla scrivania.
-No?-
Al'ja: E' così bello, lui...
-No!-
Gee: Chi?
-Potevi limitarti a dirlo, no?-
Al'ja: Tu...
Gee: Io sono "lui"?
Al'ja: "Lui" sei tu, più che altro.
-E' uguale, Al...-
Gee: Sicura?
-Io o Al'ja?- si domandò Helga, confusa.
Al'ja: Siamo sicure entrambe, Gee!
Gee: Ah sì?
Jànos sgranò gli occhi, incredulo.
-Oh, io mi dissocio!-

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