martedì 29 novembre 2011

Ali in gabbia, occhi selvaggi - Capitolo 4


-Quattro-

Krasnojarsk, 13 Settembre 2011


Com'eri bella quella sera nel mio cuore
L'ultima sera
Che finisce il primo amore
Com'eri bella
Che nemmeno ti guardai
E così bella
Che nemmeno ti parlai
Com'eri bella
Quella sera nel mio cuore
Forse tutta la mia mente
E' diventata sabbia,
Eravamo noi, ricordi,
Quelli della rabbia

(Algeri, Roberto Vecchioni)

Dimokratìa Hélèna Dounas - In linea.
Era tardi, e quel mattino nevicava soltanto, niente bufere in vista.
La scuola cominciava davvero, c'era poco da fare.
Natal'ja pensò di salutare comunque l'amica di penna, le ci sarebbe voluto giusto un attimo.
Al'ja: Tìa!
Tìa: Al...
Al'ja: Tutto bene?
Tìa: Gee...
La ragazzina sorrise, finendo d'intrecciarsi i capelli e legandoli con un nastro azzurro.
Indossava l'abito bianco, quel giorno, forse il migliore che aveva, quello che piaceva anche a George.
Lui aveva cercato di toglierglielo, quell'abito, ma questo era un dettaglio, probabilmente.
Poi le aveva cantato All my loving, per farsi perdonare.
E aveva dovuto farsi perdonare anche per questo, perché era terribilmente stonato, Gee.
Al'ja: E' stato sospeso, vero?
Tìa: Sai che novità... Ma Anthea...
Al'ja: Quella che ha quasi travolto tentando di stendere Meletis?
Tìa: Beh, pur senza quasi, l'ha travolta. Ma in tutti sensi...
Lo sguardo di Natal'ja cadde sui suoi stivaletti di pelle blu, quelli coi lacci color crema, i suoi preferiti.
Non che ne avesse molte, di scarpe e di vestiti, ma a quelli teneva tanto, non lo sapeva, perché.
Forse non era il caso di pensare agli stivali, non in quel momento.
Al'ja: Non va tutto bene, vero?
Tìa: Mi dispiace tanto...
Natal'ja sorrise amaramente.
Pensò di mandargli un messaggio non in linea, a quel benedetto ragazzo.
Lo fece, ma sarebbe bastato?
Quanto male ti farai ancora perdonare, Gee?
Al'ja: Com'è, questa Anthea, dunque?
Tìa: Non come te...
A Natal'ja parve di vederla, la piccola Dimokratìa Dounas, il bel sorriso triste, gli occhi chiari sgranati, il suo stesso desiderio di sputargli in un occhio, a Brian George.
Tìa: Guarda che lui ti vuole bene, eh...
Al'ja: Anch'io.
Spense il computer, ultimò la cartella e pensò che sì, forse era arrivato il momento di andare a scuola.

-Ehi, Al, oggi cominci la mia scuola!-
Sorrideva, Jànos, sulla porta di casa, il libro di russo e l'antologia di letteratura ungherese sottobraccio, le scarpe slacciate e gli occhiali da sole, gli occhiali da sole con la neve, la neve siberiana che incendiava la via.
La scuola secondaria inferiore, dai dieci ai quindici anni.
Sarebbero stati insieme ancora per due anni, Natal'ja, Jànos ed Helga.
Con Hajnalka invece avrebbe passato tutti e cinque gli anni, ma Al'ja ci avrebbe scommesso i suoi stivaletti blu, ch'era già sui gradini di scuola, Hajnal.
-Già... La tua scuola-
Per la verità la frequentava già da un anno, Al'ja, la scuola di Jàn, ma a dieci anni si è ancora così piccoli, ad undici forse no.
Non che cambiasse poi molto, per lei.
-Contenta? Non sarai più lo scriccioletto della banda, se non altro. E poi...ci sono io!-
-Ci sei tu-
Non sembrava allegra come avrebbe dovuto, Al'ja, ma Jànos pensò che volesse soltanto prenderlo in giro.
Scrollando le spalle afferrò la cartella lasciata sui gradini innevati del condominio e le strinse la mano, avviandosi canticchiando Getting Better verso scuola.

Era implicito, tanto, il sorriso di Hajnalka, quel giorno.
Era agitata, forse, con le guance arrossate e gli occhi indaco scintillanti.
Il suo sguardo oscillava da Natal'ja al fratello, inquieto.
Li aspettava.
Nel raggiungerla Al'ja s'imbatté in una ragazzina dal cappotto lungo e i folti capelli rossi che le sorrideva con ben poca simpatia, a dir la verità.
-Ecco il chitarrista e la stracciona...- mormorò, incupendosi.
-Oh, immagino di essere "la stracciona", ormai-
Era flebile, la voce di Al'ja.
Non aveva il fuoco delle stelle nel sorriso, né il cielo negli occhi come al solito.
-Ci sarà sempre qualcuno pronto a dirlo, Al. Ma pensa a noi, ai Forradalmi... Pensa a George, il tuo "bellissimo straccione"-
Natal'ja sospirò, e un poco le mancò il fiato, alle parole di Jàn.
-Ma via, Al'ja: Io sono "il decerebrato ungherese", per Hélène. E' in classe con Helga, lei, e non è che vadano tanto d'accordo...-
-No?-
-Ehi, la Dolokova sembra tanto angelica, ma quando qualcuno le critica lo smalto e le amiche...-
-Lo fa per lo smalto e le amiche o per le amiche e lo smalto?- domandò Al'ja, inarcando un sopracciglio.
-Oh, non entrare nei dettagli, Al-
Sorrise, finalmente, la biondina di Krasnojarsk.
-Meglio di no, in effetti. Ma quella si chiama Hélène? Come Hélène Kuragina Bezuchova, che poi non se lo merita mica, il cognome di Pierre?-
-Hélène Vasilevna Arkonvskaja- annuì Jànos, guardando male la Kuragina del ventunesimo secolo.
-Se il mondo girasse secondo Guerra e Pace, immagino di sì-
-Ma il mondo gira secondo Guerra e Pace, Jàn. Ed io sono Natal'ja Rostova e George Anatol' Kuragin. E' un dato di fatto-
-Anatol' Kuragin?!- gridò il giovane ungherese, sgranando gli occhi.
-Uno peggio dell'altro, i tuoi paragoni-
-Non è che sia un paragone, Jàn- sospirò la ragazzina.
Poi corse da Hajnalka, le diede un bacio sulla guancia e sorrise mestamente.
Non la capiva, Jànos, quel giorno, la piccola Natal'ja.
Non la capì finché quest'ultima non acchiappò il suo telefonino dalla prima cerniera dello zaino e Jàn la vide scorrere con il dito sulla tastiera, lo sguardo tra il malinconico e l'apprensivo.
Finalmente parve trovare ciò che tanto furiosamente cercava.

Sgranò gli occhi, indietreggiando.
-Stai attenta!- brontolò qualcuno, travolto dagli stivaletti della piccina, ma lei non chiese scusa, forse non se ne accorse nemmeno.
Corse da lui, gli fece leggere il messaggio.
Janòs sorrise, riconoscendone il testo.
-I'm looking through you?-
Non era una domanda.
Loro la conoscevano fin troppo bene, quella canzone.
Poi lo sguardo gli cadde sul mittente.
-Nataljetshka...-
Alzò gli occhi sulla ragazzina, ma pareva imperturbabile, lei.
Qualche ciocca bionda e ondulata sugli occhi grigiazzurri e questi ultimi impassibili.
Feriti, ma impassibili.
Le mise una mano sulla spalla, Jànos, cercò lo sguardo di Hajnal, che scosse la testa.
Poi si decise.
Rubò il telefono dalle mani di Natal'ja e cliccò su quel maledetto mittente.
Avviò la chiamata.
-Brian George?- gridò al suo interlocutore, gli occhi ridotti a due fessure, l'espressione corrucciata.
-Sono Jànos Desztor, l'ungherese. No, non quello che sospetti essere lo pseudo - amante di Al'ja. Suo fratello. No, non il fratello di Al'ja. Che diamine, ragiona! Te la passo, ok? Perché non ha chiamato lei? Sai com'è, ha un crampo alla mano. Sì, a tutte e cinque le dita. Fenomeno del metacarpo dormiente, conosci?
Succede quando si ha a che fare con ragazzi cretini. Sai, quelli proprio irrecuperabili. Al'ja, parla con questo gran rubacuori ellenico. Toh, parla con 'sto pseudo - pirata. Dico troppo spesso la parola "pseudo"? Son ripetitivo? Pseudo - buttati nell'Egeo, tesoro-
Natal'ja afferrò il telefono con le mani tremanti.
Rispose con un filo di voce.
-Gee?-
Non disse niente, e Jànos se ne spaventò.
-Ti voglio bene...-
"Credo", avrebbe voluto dire, ma ne era sicura, lei.
-...ancora-
Jànos la guardava immobile, gli occhi spalancati.
-E' cretina. Cioè, è una decerebrata-
Le sfilò il telefono un'altra volta, sputacchiando sulla tastiera:
-George, sai che stai con una decerebrata? Contento? Oh, fattacci tuoi. Ma la decerebrata piange, anche se non dagli occhi. George, te li ricordi i suoi occhi? Sono tanto belli, consumavano le tue foto. E' una decerebrata fedele, questa qui. Te la ripasso, eh! E tanti auguri!-
Rideva, adesso, Natal'ja.
Rideva, e sperava che George, dalla Grecia, si sentisse morire quanto lei, anche se adesso rideva.
-Gee...sei così incredibilmente stupido-
-Non provare a chiudergli il telefono in faccia, che le chiamate Siberia Centrale - Laconia costano una fortuna, e poi ti tocca richiamarlo. No, beh, la chiamata a carico del destinatario sarebbe un'idea. Ma...tu cosa ti consiglieresti, al posto mio?-
Era incredula, Natal'ja.
La sorprendeva sempre, quel benedetto ungherese.
-E' straordinario, Jàn-Jàn, no? Anche tu, per quanto bastardo. Devo entrare a scuola, adesso. L'ha già capito, Anthea, che sei troppo cretino per lei? Non farlo più, Gee. Fa troppo male, anche se solo a me-
Stavolta chiuse la chiamata, Al'ja.
Guardò Jànos, che le sorrideva tra l'imbarazzato e il soddisfatto.
Dunque lo vide passarsi una mano tra i capelli nerissimi, scrutandola con i bruni occhi ridenti.
-Eh, Al'ja. Sei forte, tu-
-Può darsi, Jàn. Andiamo?-
-Natal'ja! Piantala di confabulare con l'ungherese e muoviti, per grazia divina!-
Natal'ja a Jànos sorrisero, alzando gli occhi al cielo.
-Helga...-

Quelli belli come noi
Che non cambieranno mai
(Quelli belli come noi, Roberto Vecchioni)

Ci ripensava, a volte, Al'ja.
La vacanza studio a Liverpool, la città di suo padre, e lui ch'era sulla moto e la guardava, la mangiava coi suoi occhi scuri scuri, senza parole.
Ricordava che aveva tirato una gomitata al suo amico biondo, Theodorakis, il quale era balzato giù di sella e le aveva scattato una foto con una di quelle macchine fotografiche che stampano istantaneamente, per poi portargliela da autografare.
-E' per Gee, l'impedito lì in fondo. In genere si fa avanti lui, ma guardalo, pare l'Efebo di Anticitera, solo che tutti quei muscoli non li ha mica, lui-
-Non c'è problema, lo giuro-
Poi non l'aveva più saputo nemmeno lei, cosa dire.

Quelli belli come noi
Non dimenticano mai
Quella prima volta che
E quell'altra volta se
E poi finalmente te
(Quelli belli come noi, Roberto Vecchioni)


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