martedì 13 dicembre 2011

Ali in gabbia, occhi selvaggi - Capitolo 7

-Sette-

Lei coi capelli di sole sommersi

Io in mezzo ai mari che corsi
Lei sotto i suoi cieli inversi
(Due Universi, Claudio Baglioni)

Sparta, 16 Settembre 2011

Si svegliò presto, quel 16 Settembre, George.
Il suo ultimo giorno di sospensione gli si era bruciato tra le mani, e c'era ancora da cercare i libri sotto il letto, lasciar l'Iliade sul comodino, seppur con una fitta al cuore, e togliere quella benedetta scodella di yogurt greco dal casco del motorino.
Si svegliò ch'era ancora notte, per la verità.
Sbuffando si alzò, s'infilò la camicia al contrario sul pigiama e gli occhiali da sole -effetto della disastrosa miopia notturna, o follia relativamente momentanea-, finì lo yogurt greco, inciampò nell'Iliade, dopodiché uscì.
Appena uscito raggiunse, decisamente più pimpante, il motorino,e prima di salirvi riuscì a farselo cadere su un piede per ben due volte, poi si accorse d'aver lasciato le chiavi sotto il cuscino e sospirò, scrollando le spalle.
Dopo uno sbadiglio e l'essersi, chissà come, infilato il casco in un occhio, decise d'avviarsi dai Dounas a piedi.
Non era esattamente uno di quegli orari in cui ci si poteva presentare sotto casa altrui senza essere ghigliottinato, ma George nutriva discrete speranze nella famiglia in questione.

Theodorakis non era stato sospeso -non ancora, perlomeno, e rischiando la settima bocciatura gli conveniva poco-, ma giusto per non farlo andare da solo a Micene, magari col rischio di sbriciolarsi in moto contro la tomba d'Atreo, aveva rinunciato all'interrogazione di filosofia.
A Micene non c'era mai molto da fare: solo polvere, rovine, storia e leggenda.
S'era conservata meglio di Sparta, la città d'Agamennone, questo aveva dovuto riconoscerlo a malincuore, Gee.
Di Sparta, ormai, eran rimaste solo le cicatrici.
A lui non importava, non per davvero: negli occhi George aveva la città ch'era stata, anche quando metteva gli occhiali.
A Brian George, il ragazzino Iliade - dipendente, poteva anche non credere nessuno, ma lui credeva in quello che voleva.
Credeva in Sparta, credeva in Natal'ja.
Credeva nel suo motorino, maledettamente, anche quando lasciava le chiavi sotto il cuscino e doveva rubar la bicicletta a Tìa.
Credeva anche in lei, tanto.
A Theodorakis, che davvero non poteva lasciarlo in banco da solo, l'anno seguente.
Anche a costo di farsi biondo e offrirsi in filosofia al posto suo, o di tradurgli Tucidide per tutta la notte, Dounas doveva passare l'anno.

-Theo! Tìa!-
Brian George sorrise, ravviandosi i capelli.
I suoi amici non avevano ancora dato segno di vita, ma presto gli avrebbero risposto.
-Tìa! Theo!-
-Disgraziato!-
-Delinquente!-
Il sorriso scomparve.
Il ragazzo fece tre passi indietro, non si poteva mai sapere.
Era notte fonda, era Sparta.
Era il grande Geórgos Zemekis, lui, ma nel buio avrebbero potuto scambiarlo per un pivello qualsiasi, e i compari di suo nonno non erano esattamente dei bravi ragazzi, specialmente a quell'ora.
-Per Zeus, chi grida a quest'ora?-
Certo, George se ne rendeva conto: non era esattamente nelle condizioni di poter avanzare, neanche soltanto formulare, una lamentela del genere, ma del resto era lui.
Gli altri, in genere, avevano due opzioni: o si rassegnavano, o gli tiravano qualcosa in testa.
I Dounas, altrettanto in genere, per quanto bene volessero all'originale nipote di Leonida, avevano una particolare predilizione per la seconda.
-Tìa, io glieli lancio! Glieli lancio, punto!-
-Papà, no! Voglio dire, è sia un disgraziato che un delinquente, Gee... Ma gli stivali di mamma no, che ha appena sostituito i tacchi!-
George perse circa due dita di colore e quasi tutta la baldanza, alla vista di Meletis Dounas, biondissimo e trentasettenne padre di famiglia, uno dei più inneggiati e temuti eroi della banda.
-Mel, mi serve tua figlia... Non è che ti disturbo, vero?-
Meletis Dounas, in quel preciso momento, considerò tre elementi.
- Mel. Manco si fosse chiamato Melanie. Lui!
- Mi serve tua figlia. Mi serve un aspirapolvere l'avrebbe detto con la medesima intonazione?
- Non è che ti disturbo, vero? Disturbo. Alle tre di notte. Faceva sul serio?
-Geórgos!- ringhiò, senza cessar di sventolare gli stivali di Eiréne in direzione del giovane idiota.
Poi, improvvisamente, si calmò.
Parve riflettere su qualcosa che lo turbava particolarmente, dopodiché si guardò intorno, circospetto.
Sorrise.
-Geórgos, senti. Io te la posso anche mandare, mia figlia -Theo no, ti spennerebbe più di quanto non farei io in questo momento-, ma tu... Ce l'hai, una sigaretta per Mel, vero?-
George non aveva mai amato gli sbalzi d'umore di Meletis Dounas come in quel momento.
Però... Però...
-Ehi, Gee! Dai, ce le hai, le sigarette, no?-
Stavolta era stata Tìa a parlare, speranzosa.
Brian George Gibson non usciva mai di casa senza sigarette.
Mai.
Poteva dimenticarsi pure le scarpe, ma le sigarette no.
E allora... Allora...
-Uhm... Beh. Sigarette. Direi. Dovrei. Spererei. Ma se le avrei...-
-Gee, il congiuntivo! Al'ja ti sparerebbe, hai presente?-
-Oh, non sarebbe mica l'unica. Cioè, le avrei finite, le sigarette, io-
Dimokratìa sgranò gli occhi.
Meletis lasciò cadere gli stivali della moglie dalla finestra.
Come Eiréne non si fosse ancora svegliata, poi, non era ben chiaro a nessuno di loro.
Ma non se lo chiedevano, in quel momento.
George era il più sconvolto di tutti, forse.
-Mi... Mi dispiace! Io... Negozi aperti, ora...?-
-Te lo auguro, Geórgos!-

-Gee, non lo prendiamo, il motorino?-
-E no, Tìa, no che non lo prendiamo. Ho lasciato le chiavi sotto il cuscino, sai com'è...-
Sbarrò gli occhi, la ragazzina.
-Che, ti servono le chiavi? A te? Veramente?-
-Purtroppo sì, sciocchina-
Dimokratìa gli mollò un leggero scappellotto, guardandolo male.
-Sciocchina lo dirai alla tua cocorita, eh!-
-Eh, vedremo. Vedremo se avrò mai una cocorita, voglio dire. Tu come la chiameresti?-
Ma me lo sta chiedendo davvero?
La piccola Dounas avrebbe avuto un bell'inquietarsi, quella notte.
-Natal'ja- affermò, sorridendo.
-Natal'ja- ripeté lui, sognante.
-E' un bel nome, però. Voglio dire, anche se non ci fosse lei. Anche se noi, io non l'avessi mai conosciuta-
Gli tremava la voce, quasi, nel dar vita ad elucubrazioni notturne ancor più surreali del solito.
-Gee, se non ci fosse lei, se noi, tu non l'avessi mai conosciuta... Saresti ancora ad Atene, al Nuovo Museo dell'Acropoli, nella macchina per la restaurazione delle Cariatidi. Che poi, Dio... Come diamine t'è venuto in mente di entrarci? Cioè, già mi chiedo perché nessuno, eccetto la sottoscritta, abbia avuto il buonsenso di fermarti, però... I tuoi neuroncini ibernati si dovranno anche riprendere, prima o poi-
-Appunto. Ma volevo vedere come funzionava...da vicino-
-Signore, c'era il video! Ci sei pure andato a sbattere, se ricordi-
-Eh, ma era bello... Bello tanto. Secondo te, se Al'ja si pettinasse come una Cariatide...-
-George!-
Rideva, Dimokratìa.
Che caso disperato, e che bel caso disperato era, quel suo George!
-Ró̱ti̱sa t’astéria ti tha gínei me mas...- s'era messo a cantarellare nel frattempo, saltando sulla bicicletta di Tìa.
-Sakis?- gli domandò lei, riconoscendo le parole di Emena Thes, di Sakis Rouvas.
Lui inarcò un sopracciglio, annuendo.
-Ovviamente-
-Sai, a proposito di Rouvas... Mia zoí mazí, hai presente? E' la vostra canzone, tua e di Al'ja. Davvero!-
-La vita insieme- mormorò lui, pensieroso.
-Che bello, però...-
-Tanto tanto, Gee. Diglielo, prima o poi. Diglielo, che la vuoi sposare, che non te ne frega niente, dei suoi undici anni e dei tuoi quindici anni, degli scalmanati ungheresi, di...tante cose. Tu vivi per lei!-
-Beh. Sì, diciamo di sì. Teoricamente sì. Ma io...-
-Tu taci, adesso. Non è vero, Gee?-
Il ragazzo annuì, con un mezzo sorriso.
-Sì. Meglio così-

E adesso erano lì, in riva all'Eurota.
Tìa s'era addormentata, George guardava il fiume e non capiva, ma era bella, tanto, l'atmosfera che c'era lì.
Sfiorò con un dito i capelli della bambina, pensieroso.
Poi la strattonò un poco per una manica, illuminandosi improvvisamente.
-Tìa?-
Lei aprì gli occhi, infastidita.
-Cretino?-
-Ci verresti, in Russia con me?-

venerdì 2 dicembre 2011

Ali in gabbia, occhi selvaggi - Capitolo 6

-Sei-

Krasnojarsk, 15 Settembre 2011

Anche tu,
Anche tu
Appartieni al mondo intero e non a me
M'ero illusa che tu fossi mio per sempre, ma
Non lo sei,
Non lo sei
(Che male fa la gelosia, Nada)

Sorrideva, Natal'ja.
-Che ti prende?- le aveva chiesto Jànos poco prima, ma gliel'aveva chiesto con la speranza negli occhi, perché tutt'un tratto s'era illuminato di nuovo, il visino della sua piccola amica.
-Niente, è che...-
L'Ungherese le afferrò entrambe le mani, guardandola severamente negli occhi.
-Non lasciargliela vinta neanche un momento-
-Oh, piantala, con quel tuo Vecchioni!-
-Non è la stessa cosa che Gee ha detto a Tìa sul marciapiede di Penny Lane, mentre aspettavamo che qualche martire prendesse su tutta la comitiva?-
-Svyatoe Nebo, Jàn! Sposatelo e lasciami i Beatles, va-
La guardò un po' storto, Jànos Desztor, prima di tirarla per la manica, con un mezzo sorriso.
-Va meglio, vero? Insomma, anche se gliel'hai lasciata vinta-
Poi scosse la testa, correggendosi.
-Più che altro gli hai lasciato la vita, tu-
Recuperò la chitarra che aveva lasciato sul divano, pizzicandone qualche corda e guardando Al'ja con la coda dell'occhio.
-Everything little thing she does, she does for Gee, yeah-
-Jàn...-
-Era già tutto previsto, anche l'uomo che sceglievi, e il sorriso che gli fai mentre ti sta portando via...-
-Jànos!-
-George, nel tuo ricordo pensa che la tua Natal'ja è accanto a te... Oh, George! Lei che rideva e ora non più, ma la sua vita ce l'hai tu... Oh, George! Oh, se tu le portassi via qualche altro neurone ti spaccherei il faccino... Oh, George!-
-Jànos Desztor!-
-E nei sogni di Natal'ja Brian George l'aveva sposata, e chi non ci credeva era un pirata...-
-Oh, Jàn!-
-Tu lo seguisti senza una ragione, come un ragazzo segue l'aquilone...-
-Taci, cavalletta-
-Furono e baci e furono sorrisi, poi furono soltanto i fiordalisi...-
-Disintegrati! Che poi fa relativamente paura, la tua conoscenza della musica italiana-
-E' musica, no? Io sono Jànos Desztor-
Natal'ja annuì, seria seria.
-Piacere...-
Il chitarrista ungherese ridacchiò, scostando la sua mano.
-Pensa al tuo fidanzato, piuttosto! Quando, nella penombra della sera liverpooliana, mi si è affiancato dicendo: "Prendi questa mano, zingara!", davvero non ho saputo cosa rispondergli-
-Oh, accidenti!-
Jànos sorrise, approfittando della sorpresa della ragazzina per sussurrarle all'orecchio la sua ultima "creazione".
-Questa è la tua canzone, Al'ja mia bella, che hai perso la ragione assai in fretta...-
-Tu cosa gli hai risposto?- volle sapere Al'ja, fingendo d'ignorare l'ennesima pseudo - citazione.
-"Oh, lo vedo sì, l'oro dei capelli suoi, e se sapessi quanto ricambia ti spaventeresti, ma per favore, potresti andare a dirlo a lei?"-
-Mitico- fu l'unico commento della biondina, che scosse la testa, arrossendo un poco.
-Ma dici davvero? E Georgino voleva proprio sapere...-
-Morandi no di certo, con rispetto, Al. But when I see you darling, it's like we both are falling in love again...-
-Ma...-
-Woman, please let me explain, I never mean to cause you sorrow or pain...-
-Lennon ti viene bene, sai, Jàn?-
Jànos inarcò un sopracciglio, a metà tra il compiaciuto e il divertito.
-Mi devi aiutare a stendere la scaletta del concerto, tu-
-Stendere la scaletta? Oh, caspita, suonate sul tetto come gli scarafaggi scousers?-
-No, Al...- sospirò il ragazzo, seppur ridendo sotto i baffi.
-E cosa mi dedichi, eh?-
-"George!", mormora la bambina. "Perché la tua piccolina tradisci ogni santo giorno? George, come gli opliti a Sparta son le ragazze per te!" Esile agonizza la bambina; or il brigante non è più infedele: corre a intrecciar promesse e carezze sui capelli suoi. "Gee!" mormora la bambina. Vuole sfiorar la sua mano. Ma il capo già reclina e già socchiude gli occhi. Piange, il ragazzo, pentito, stringendola al cuor. Ma benedetto angelo greco, in fondo l'hai uccisa tu...-
Lo guardò male, Al'ja.
-Sei tanto tanto scemo, lo sai?-
Jànos sbuffò, scrollando le spalle.
-Ma tu gli vuoi davvero troppo bene, a quello lì. Per sognarlo devi averlo vicino, e vicino non è ancora abbastanza...-
-Devo sembrarti proprio una sciocchina, eh? Ma provaci tu, a innamorarti di uno come lui!-
-Preferirei di no, davvero-
Natal'ja si portò una mano alla bocca, sbiancando.
-Oh...già-
-Che sorta di streghetta, questa piccina! Ma devi aiutarmi con la scaletta, adesso. Coraggio, Al, ho ancora qualche speranza o te la sei già bruciata, quella testolina?-
-Sai con cosa dovreste cominciare, Jàn? Getting Better e Le vie del rock sono infinite, le tue canzoni. Cioè, solo due delle tante, ma è un dettaglio. E poi... Poi suonerete qualcosa di straordinario. I'm looking through you, sicuramente, Something e All my loving, non si discute. She's a Rainbow e Ruby Tuesday, ovviamente, e...-
Jànos l'interruppe, acchiappandola per un braccio.
-Tesoro, è un concerto. Uno solo-
-Lo so, ma sono sicura che...-
Il giovane ungherese sorrise, raggiante.
-Anch'io-
-Ma quanto è straordinario, il mio Jàn-Jàn?-
-Tanto, temo. Non sperare di farlo piangere, perché piangere non sa-
-E irrecuperabile, anche- aggiunse Al'ja, inclinando un poco la testa.
Jànos annuì, con un mezzo sorriso.
-Uhm, immagino di sì-
Ricordò di quando aveva stilato l'elenco dei motivi per cui "il minator dal volto bruno" non l'avrebbe lasciata mai, Al'ja.
1 - Natal'ja è bella, da morire, anche se non ha seno.
A lei sta bene così, e se il Greco fa problemi gli spacco la chitarra sulla testolina, promesso.
2 - E' bionda, tanto, e son belli, i suoi capelli, anche se temo che non se li sia mai tagliati in vita sua.
E vabbé, al massimo ci inciamperà, il Greco. Capita.
3 - Il vestito bianco le sta d'incanto, davvero.
Sarà l'unico buono che ha, ma con quello è favolosa, lo giuro sulla mia Fender.
4 - Non ci vuole molto per farla sorridere, my backstreet girl.
Certo, il Greco è un bastardo, me ne rendo conto, ma le cose sono straordinariamente semplici:
Se lei smette di ridere lo carbonizzo.

Ma rideva ancora, Al'ja, adesso.
E Jànos era felice, tanto.
-Sai, se vuoi lo facciam davvero sul tetto, il concerto, Al'ja-