lunedì 28 novembre 2011

Ali in gabbia, occhi selvaggi - Capitolo 3

-Tre-

Sparta, 12 Settembre 2011


That's what she said so softly
I understood for once in my life
And feeling good most all of the time

But she smiled sweetly
She smiled sweetly
She smiled sweetly
And said: "don't worry"
Oh, no no no

Questo è quello che lei ha detto a voce così bassa
Ho capito per la prima volta in tutta la mia vita
E mi sono sentito bene più di tutti i tempi

Ma lei sorrideva dolcemente
Lei sorrideva dolcemente
Lei sorrideva dolcemente
E diceva: "non preoccuparti"
Oh, no no no

(She Smiled Sweetly, The Rolling Stones)

-E' quell'ungherese, me lo sento-
-Quale dei quattro? Hajnalka ha quattro fratelli, mi risulta. Senza contare il padre...-
George frenò all'istante, sgranando gli occhi.
-E' vero...-
-Disgraziato!-
Ruotando lentamente la testa, il ragazzo si rese conto di non essere stato l'unico a frenare, per di più in mezzo alla strada.
-Gee, dai, andiamo- lo richiamò all'attenzione Theodorakis, sorridendo con estrema nonchalance all'automobilista quasi travolto dall'amico.
Gli rivolse un breve cenno di saluto, al quale quest'ultimo rispose sbattendo ripetutamente la testa sul volante.
George si fece dapprima spaventosamente pallido, per poi passare ad una gradazione di rosso acceso piuttosto inquietante.
-Sai che dico, Theo? Io quell'ungherese lo sbriciolo-
-Buona idea- annuì Theodorakis, riallacciandosi il casco e passando a Gee il suo, con un sospiro.
-Dovresti metterlo, sai? Tanto contro gli alberi ci vai lo stesso, non preoccuparti-
Poi ripartì, lasciando l'anglo - greco ad imprecare fino al sopraggiungere delle minacce dell'automobilista.
-Il carro attrezzi e il riformatorio, ci vogliono!-
George scosse la testa e, declinando più o meno cordialmente le proposte, seguì quel dannato biondino ch'era il suo migliore amico.

Era a casa, Gee, la casetta bianca e azzurra divisa coi nonni sul Taigeto, tra le selve, il cielo e il ricordo del mare, le strade dissestate e le curve allucinanti.
Non ne passavano mai, di macchine, lì, solo la sua moto e quella di Theodorakis, la bicicletta di Tìa e lo skateboard di Akhylleus, il piccolo dei Dounas.
Sorrideva, Gee, di quel suo sorriso sempre un po' troppo fiducioso, e non aveva poi tanto l'aria dello scapestrato, in quel momento, con le ginocchia sbucciate per la sua ultima caduta in moto e il sole negli occhi, stanco, forse, dopo la sua ennesima sospensione.
Un ragazzino troppo ribelle, che non sempre li dimostrava, quindici anni, quei quindici anni che a volte eran tredici e a volte diciannove, quegli anni di sogni così disperatamente in alto, che lo facevano stare male.
-Che hai, Gee? Sembri un barbagianni-
Sorrise, George, pur senza distogliere lo sguardo da quel graffio cobalto di terra che immaginava fosse il preludio di quel loro Egeo sempre da raccontare.
-Vieni qui, Tìa-
La bambina assottigliò lo sguardo, cercando d'indagare coi begli occhi l'aria persa del suo Gee tutto da decifrare.
George s'inginocchiò ai piedi dell'amica, prendendole la mano.
-Secondo te ho qualcosa contro gli Ungheresi?-
Dimokratìa sospirò, guardandolo con quell'infantile tenerezza che lo confondeva sempre, quel pazzerello di George.
-Figuriamoci. Tu non l'hai manco mai visto in faccia, un magyar. Ma credo che quell'ungherese che vuol bene alla tua Al'ja non ti stia tanto simpatico...-
Sorrise, George.
-Non le vuol bene quanto me-
-Tu sei bellissimo, secondo me. E anche dolce, tanto, ma...sei tu. E non sei sempre dolce, tu, ma bello sì, anche quando cadi dalla moto. Non è un complimento, sai? Sei terribile, a volte, e quella piccina ti vuol bene lo stesso-
-Senti chi parla di piccine...-
-Io non sono piccola, sorta di filibustiere. Non nel vero senso della parola. Ero piccola quando mi hai vista nascere, forse, quando mi tenevi in braccio. E' piccola lei, perché ti vuole bene, e così tanto, Gee! Io non ce la farei-
-Ma mi vuoi bene anche tu, vero?-
-Sì, come se tu fossi la mia sorellina-
La guardò un po' storto, George, riflettendo sulle sue parole.
-Non è che hai invertito i ruoli, Tìa?-
Dimokratìa scosse la testa, angelica.
-Oh, no, te l'assicuro-

-Gee! E' arrivata Anthea!-
Dimokratìa sbarrò gli occhi, stringendo forte la mano di Gee.
-Farnetica, mio fratello?-
George scrollò le spalle, guardandola interrogativo.
-C'è Anthea, tutto qua-
Scosse la testa, Dimokratìa.
George non li capì, i suoi occhi tristi, in quel momento.
-Ti prego, non portarla dove comincia il fiume, dove l'Eurota splende nei tuoi occhi e ti senti morire. E ti prego, non baciarla in riva al fiume, non sorriderle col sorriso che hai, che fa tremare e frantumare e non tornare. Ti prego, non le dire ch'è bella come lei, non salutarla con la carezza che hai fatto quel giorno a lei, prima che la nave partisse, non scioglierle i capelli, non farle credere d'essere come lei! Ti prego, non stringerle la mano, non farla salire sulla moto, non correre, non portarla a Micene, non provare a fare come facevi con lei...-
Il ragazzo la guardò con un mezzo sorriso, ma non era già più lo stesso di prima, quel sorriso.
-Dillo all'ungherese, di non baciarla in riva al fiume, la mia Al'ja-
Poi recuperò il cellulare -quello di scorta, rubato dopo il sequestro da parte di nonna Talia- che aveva lasciato per terra accanto al casco, cercò il numero di Natal'ja.

Apó Gee na Al'ja

Why, tell me why, did you not treat me right?
Love has a nasty habit of disappearing overnight

(I'm Looking Through You, The Beatles)

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